Il viaggio poetico di
Cesare Ruffato attraversa largamente e con puntualità
di tappe la seconda metà del secolo, dal 1960, anno
della sua prima raccolta, Tempo senza nome,
fino ai recenti anni Novanta, al 1996 di Etica declive,
e al 1998 di una silloge voluminosa, compatta, densa,
Scribendi licentia, corpo quasi integrale della
sua produzione poetica in dialetto, resa pubblica a
partire dal 1990, ma risalente nella pratica privata
già al 1960.
Le prime tre raccolte
di poesia, Tempo senza nome, La nave per
Atene, Il vanitoso pianeta rispettivamente
del 1960, 1962, 1965 appaiono ancora debitrici, ma
in maniera progressivamente scalare, alla temperie
culturale della lirica italiana del dopoguerra, ermeticamente
quando non simbolisticamente connotata. Ruffato vi
mostra infatti una certa tendenza effusiva, spesso
legata a dettagli, situazioni, elementi di natura o
di paesaggio uccelli, vento, mare, cielo, nubi, torrenti,
sassi indubbiamente concreti, reali, ma portatori
comunque di una forte carica evocativa, di un notevole
potere di suggestione:
Si spande un asfalto teso
sulla terra sabbiosa che ammucchia
barriere di bosso e di tabacco,
fa da serpe ai pagliai lacerati.
Il mezzogiorno, limpida Pomposa,
appiattisce i silos, i tetti
accaldati, affonda le pinete,
i nostri globi. Si scavano voci
nei canali, nuovi guadi, arrampicare
il vertice. Lontano intride
il fall-out un mesenchima
infranto. Il getto alle falangi
è duro, il giorno,
un diaframma il mare.
È molto forte qui il
carattere sensibile, quasi tattile delle immagini;
accanto ai dati di natura, mai assunti semplicemente
o serenamente come tali, ma in un certo senso discussi,
fatti slittare o cozzare tra loro, compaiono i segni
dellattività umana che quei dati mette in opera: nellesempio
sopra riportato è l«asfalto» che mima una «serpe»
sinuosa, sono i «pagliai», i «silos, i tetti», è il
«fall-out», la ricaduta di particelle radioattive che
segue le esplosioni nucleari, elemento qui tanto più
sinistro in quanto intride «un mesenchima / infranto»,
un tessuto embrionale qui colpito nella sua integrità,
evidentemente ferito. Numerose sono le spie di una
negatività subdola: lasfalto serpe, le «barriere di
bosso e di tabacco», latmosfera di soffocamento del
mezzogiorno che «appiattisce» i silos e «affonda» le
pinete, il getto «duro» alle falangi, il mare che è
liquido «diaframma», sottile piano separatore. Già
in queste prime raccolte lattenzione coloristica alle
sfumature della luce, alle ore del giorno, agli eventi
biologici dichiara, oltre ad una grande sensibilità
e puntualità dosservazione, anche una rilevante propensione
a non risolvere la poesia nel circolo semplificante
del sentimento, del flatus elegiaco.
Certamente «gli esordi
di Ruffato sono nellambito lirico, ma in una sostanza
crepuscolare come qualcuno vi ha veduto; vi è un intimismo
di fondo, è vero, ma vi è anche la vocazione a rompere
questo intimismo», una vocazione che di fatto amplia
lo statuto della poesia, portandola ad assumere una
pluralità di istanze che poi si faranno, negli anni,
contestative, sociali, civili, etiche.
Dopo i primi tre libri
di poesia, Ruffato inaugura una nuova stagione caratterizzata
da un approccio alla scrittura poetica di più individuabile
originalità: nel 1969, infatti, con la raccolta Cuorema
Ruffato raggiunge un notevole grado di autonomia rispetto
alla tradizione, immettendo nella propria scrittura
quella pratica lucida, mirata e tenace della sperimentalità
verbale che diventerà poi la cifra caratteristica del
suo modo di intendere ed esercitare poesia. Lanno
di pubblicazione è di certo uno dei più significativi
per le contestazioni culturali, politiche e sociali
in Europa ed in Italia; nel panorama letterario italiano,
inoltre, il 69 rappresenta un momento al tempo stesso
delicato e radicale. È lanno in cui la neoavanguardia
tocca il suo culmine culmine anche come compimento
e superamento di alcune, almeno, delle sue istanze
è un momento ancora molto al di qua del riflusso
delle parole innamorate degli anni Settanta, è un
anno ancora in grado di produrre e gettare semi di
rinnovamento e di polemica, di denunciare necessità
di aperture su ampi fronti. Ruffato, con Cuorema
e, qualche anno dopo, con Caro ibrido amore
(1974), si dimostra non solo sensibilissimo ai fermenti
innovativi ed alle molteplici spinte contestative di
quegli anni, ma si dimostra anche scientemente capace
di agire dallinterno di quelle spinte e di quei fermenti,
capace di appropriarsene in maniera fattiva, di esserne,
piuttosto che influenzabile spettatore, impegnato e
compromesso attore in persona. Ladesione ai
moti di polemica e di contestazione avviene, nei suoi
versi, non come riflesso dellepoca, ma come assunzione
in proprio, in quanto poeta, di quelle istanze e contemporaneamente
come discussione dello stesso ruolo del poeta, della
funzione e delle possibilità dintervento e dimpatto
della scrittura. Sul finire degli anni Sessanta, si
apre quindi, per Ruffato, una fase di feconda e duttile
sperimentazione poetica. Dallabolizione del punto
fermo, che trasforma i componimenti di Cuorema
in una «esuberante colata linguistica, in cui limpalcatura
sintattica è sostituita dalla tecnica del montaggio»,
al plurilinguismo ed ai numerosi composti vere e
proprie parole-baule o parole-valigia di Caro
ibrido amore. È una fase interessantissima, questa
della prima e già profonda e matura sperimentazione
di Ruffato, una fase complessa di tentativi e tentazioni
di parola, di ibridazioni, mescolanze, contaminazioni
dei dilaganti luoghi del consumo e dei drammatici teatri
della guerra erano peraltro gli anni del Vietnam
e ce ne sono ben tracce nei versi. Entrambe le raccolte
sono volutamente storicizzabili, ancorate saldamente
alle opere ed ai giorni di quegli anni: discutono temi
complessi e largamente umanitari. Cuorema nasce
sulla forte suggestione del primo trapianto di cuore,
realizzato da Christiaan Barnard:
Tre Dicembre 1967
Ospedale Groote Schuur di Cape Town
Christiaan Barnard dà lannuncio
il primo trapianto di cuore nelluomo
i fautori dei cuori artificiali anticipati
dai fautori del trapianto di cuore umano
a buon punto la tecnica chirurgica
ormai più di cento i trapianti in vari paesi
ma numerose questioni
di ordine biologico etico giuridico
attendono risoluzioni
scienziati autorevoli esprimono
pareri non sempre concordi
protesteranno sursum corda
cuore-mamma ce nè uno solo
che fa la vita tentazione
padrone assoluto delluomo
buttafuori sangue aria rifiuti
quando alla morte viene pesato
Anubi controlla lindice segnato
questi leggiadri odorosetti cuori
furono già ninfe pastori tesori
e più saranno nel mondo intero
muta polpa da cimitero
Avanzamenti della scienza, interventi chirurgici, dubbi morali e pratici, discrepanze dopinioni, questioni di morte e vita; interesse per le nuove prospettive e, insieme, scetticismo, questo sembra dire un testo tutto intessuto di dati e chiuso quasi in tono di filastrocca, con tanto di rima baciata (pesato:segnato, cuori:pastori:tesori, intero:cimitero). Questioni non univoche che la poesia non pretende di risolvere, ma certamente sa di dover porre con forza allattenzione. Già il titolo del libro presenta più livelli, più possibilità di lettura: Cuorema, oltre ad apparire formato sulla base suffisale -ema comune a molti termini della linguistica che indicano unità di valore distintivo fonema, morfema, semema, monema , è anche curiosamente, ironicamente consonante con patema; Cuorema ha poi, di certo, un trasparente sentore scientifico, da termine nosologico, analogo, come appare, ad enfisema, esantema, eritema, empiema, eczema; con una meno ovvia suddivisione, inoltre, si può ottenere cuo-rema unione di cuore e rema, che in greco significa parola, sì da ottenere tra le altre aperture polisemiche del titolo anche cuore-parola, o parola del cuore, poema del cuore. Caro a tanta tradizione lirica come sede di ogni fremito sentimental-emotivo, qui desublimato e ricondotto al suo valore di organo vitale dal recente trapianto, che lo ha reso «pezzo di ricambio nellofficina / forma combustibile cifra dono», il cuore protagonista di questa raccolta viene ad oggettivare in sé i nodi problematici del progresso, le stratificazioni culturali e storiche, le aspettative nel futuro:
Povero cuore non sei fatto solo per amare
ma per soffrire imbrunire insenire ammalare
come un prato verde rischi dintristire
se humi e sole tardano a venire***
In testamento consegnare il cuore
a un dabbene metamorto non compos sui
così nel fragile esistenziale
non cè più stile ma metavivere
in attesa di farsi dono o di riceverlo
e veramente un nostro frammento
potrà legarsi monile tessera della banca degli organi
elevazione dellindice sopravvivenza
i miei vasi si venderanno allasta
non mi preoccupa il prezzo
ma le mani del venditore
e le case degli acquirenti
Un po di noi si continua morendo
io in te o tu in me sarebbe tenerezza
perseguire astutamente fine bellezza
dadaschermaglia ad occhi aperti sacrificio comunicante
saresti disintegrazione integrante.
Come poi in altre raccolte,
Ruffato tocca qui temi di profonda importanza umana,
che appartengono allambito delle più delicate questioni
etiche, sociali e civiche, e lo fa attraverso immagini
che sono esatte, naturali, anatomiche, limpide e al
tempo stesso complesse perché strutturate su un ampio
orizzonte umanistico. I frammenti di noi, gli organi
espiantati e reimpiantati, congiungono morte e vita:
disintegrando un corpo possono ossimoricamente
integrarne un altro, divenirne parte consustanziale.
E questo passaggio, tangibile perché dovuto ad un reale
organo pulsante e vivo, eppure lievissimo perché impalpabile
ed impredicibile, è discusso nei versi di Ruffato
in successioni di argomenti e visioni matericamente
e poeticamente oggettivati.
Assunta e messa in campo
questa incipiente vis sperimentale, Ruffato
ha continuato negli anni Settanta a coltivare una scrittura
dai connotati individualissimi, in antitesi sempre
più netta rispetto ai ritornanti rigurgiti del neoromanticismo,
semmai tangente se si vogliono cercare contiguità
ad alcuni aspetti della neoavanguardia, senza però
per questo rientrare effettivamente a farne parte.
Tra le prove di maggiore
incisività sperimentale va considerata la raccolta
Minusgrafie, apparsa nel 1978 con prefazione
di Aldo Rossi, programmaticamente orientata alla minorità,
al minuscolo (reso estensivamente anche nelluso dei
caratteri tipografici e nellassoluto azzeramento di
qualsiasi segno dinterpunzione), dedicata a quanto
pertiene alla marginalità, al represso. Qui il lavoro
di sperimentazione nella stringa del verso e nel corpo
stesso, minuto delle parole si fa ancor più
tenace, insistito. Diviene cronico. La parola arriva
ad essere sezionata, scomposta nei suoi componenti
radicali, divisa nei suffissi veri o presunti da barrette
oblique «in/visibili» (p.117) , ma anche dai trattini
e dai due punti: «ri:sata-sacca-salta» (p.61). Non
esiste più unità semantica lampante e integrale: pare
di trovarsi davanti ad unattività di laboratorio:
tanto scientifica, esatta, tersa, quanto impietosa,
priva di sentimentalismi e di moventi o di sbocchi
lirici. La polisemia raggiunge forse in questa raccolta
il suo grado più alto. Si moltiplicano i neologismi,
le neoformazioni di verbi di derivazione sostantivale
o aggettivale: «granchiano» (p.57); «viastridendo»
(p.81) che è gerundio di un lemma che è a sua volta
una neoformazione; «canticando» (p.86); «cespugliano»
(p.96); «mollicano» (p.100); concrescono su se stesse
le catene di lemmi uniti da trattini «fumo-fame» (p.24)
ai limiti del paragramma; «semplice forma duomo-bestia-pianta»
(p.29) relazione triplice di carattere filosofico,
sorta di nucleo plenibiologico, comprensivo delle
tre diverse forme di vita; «estrusione-soffiaggio-laminazione»
(p.86); e la parole-baule come «semibeatità pacesperanza»,
«uomointegrototale / mutatarealtàsociale», il «musoaforisma
del pianeta orridaincozza» (p.71); «libertàverità rotundofluidopermanente»
(p.77); «brecciabugia nelle deduzionipastoie» (p.79);
«liminesigenza», «lunazioneselceluna» (p.85); «bacioallegoria»,
«verticipupe» (p.86); «paginecontraddizione» (p.87);
«ginandria» (p.89) ermafrodita congiunzione di due
traslitterazioni dal greco combinate in modo inverso
rispetto alla sindrome di androginìa; «il geroglifico
lirico geroparenchima» (p.109) con evidente suggestione
allitterativa e sovrapposizione di due diverse discipline
e metodi di lettura: scrittura come tessuto; antichi
segni decifrati da un archeologo, come tessuto biologico
letto da un anatomico. Sono costruzioni stranianti,
catalizzatrici di attenzione, per lo più hapax legòmena,
che, accorpando e addensando lemmi in concrezione,
danno vita ad inedite unità di significati e significanti.
E luso unico di queste parole-contenitore risponde
probabilmente ad un preciso rifiuto di voci definitorie
valide per sempre; piuttosto Ruffato crea parole superabili,
ampie nella loro capacità di comprendere e moltiplicare
i significati, ma in certo senso non compiute, ancora
deformabili, ibridabili in sempre nuovi accostamenti,
nellansia di una ricerca che procede oltre se stessa,
che non smette. Talvolta, poi, le parole-baule possono
anche funzionare sintatticamente come aggettivazioni
sostantive, come attributi o apposizioni: «abeti tuberi
zeffiriguizzi vertigo / ma le paludi sargassimitraglia
/ plastiche interlocuzioni fresche lezioni danatomia»
(p.72). Fanno parte della stessa tendenza alle neoformazioni
alcuni avverbi presenti sempre come voci uniche nei
versi di Ruffato: «geostroficamente» (p.57); «glomerularmente»
(p.59); «plagentemente» (p.113). In termini linguistici
e sintattici Minusgrafie è una raccolta densa
in cui è difficile avvertire e catturare un senso unico:
tenendo conto del livello di complessità dovuto alla
mancanza di concatenazioni sintattiche ineccepibili,
inequivocabili e alla presenza del lessico medico,
del latino, di microincastonature di altre lingue europee,
si può forse solo cercare di accerchiare i possibili
significati e parasignificati, di cogliere la polisemia
diffusa, tutti gli ulteriori sensi che si sviluppano
dalla non univocità dei sensi. È una poesia ragionativa
ma non fredda, quella di Ruffato, una poesia che detiene
fermamente i propri strumenti e con quegli strumenti
continuamente discute, in un inappagato processo di
messa a fuoco del reale ambiguo e sfuggente. A sottolineare
la distanza dal lirismo di marca tradizionale concorre
qui anche la scelta sempre di registro basso, minore
di un verso non altisonante di lunghezza e natura
realmente prosastica. Un esteso verso da argomentazione
che riesce a contenere ed esprimere i temi dolenti
a cui Ruffato dà voce: rischi ecologici, aspetti di
antropologia e sociologia, problemi vasti come il Terzo
Mondo. In opposizione a tanta poesia autoriflessiva,
accartocciata sulle pieghe dellio, Ruffato pratica
una poesia che discute del «piano anagogico plenario
della popolazione», che di quel piano enumera con disillusione
«effetti compromessi logiche / interne», e principi
dintervento, o ipotetici e possibili accordi
(ecco gli elementi principali raccomandati o
suggeriti dal comitato dazione: a) detendere
dal trentotto al trenta per mille il tasso di
natalità nei paesi in via di sviluppo; b) costi
tuire un dipartimento guardia delle tendenze
demografiche; c) crociate per maternità e paternità
responsabilizzate; d) più ampio spazio di azione
alla donna nel tempo del mondo degli orologi
e del maneggio; e) educazione infantile più diversi
ficata e estesa; f) parità dello status socio-legale
per tutti i bambini nati; g) limitazione dei consumi
con sfruttamento più razionale delle risorse e
più equaordinata distribuzione dei beni e ali
menti; h) fine delle guerre di aggressione e di
ogni forma di discriminazione)
per le vaghe storielle e tutte creature barzelle
prediche lampanti sulle vie del signore
procaritatisannozero
La dimensione etica,
allargata al consesso civile, appare dominante nei
versi di Ruffato: non a caso uno dei tratti tipici
della sua poesia è proprio il superamento della soggettività
del poeta, la decostruzione della figura di poeta che
dice io e lo intende a tutto tondo, con i suoi sentimenti
straripanti, le sue involuzioni psicologiche esibite.
La poesia di Ruffato paradossalmente anche quando
si lega ad alcuni tragici nodi della sua biografia
non è mai risolta nel circolo stretto, limitante
del soggetto. E questa riduzione dellio è stato uno
dei tratti tipici della poesia della neoavanguardia,
con cui si è già detto la scrittura di Ruffato
mostra più di un punto di contatto. Antonio porta aveva
professato una «vera e propria avversione per il poeta
io» ed aveva predicato e messo anche bene in pratica
in senso tutto stravolto, e sbieco, e rovesciato una
vera «vocazione alloggettività» in senso eliotiano,
e si trattava spesso di vocazione sadica, di oggettività
crudelissima. Certo il modo di deprimere lio è diverso
nei due casi: nella poetica neoavanguardistica ha una
forte, predominante connotazione protestataria e di
rottura, con sbocchi in esiti surrealisti, nella poetica
di Ruffato risponde più ad una sua innata propensione
allesterno, ad una necessità etica insopprimibile,
e non appare comunque principio irrinunciabile, come
poi hanno dimostrato raccolte successive in cui tornano
sempre sotto rigorosa sorveglianza alcuni dati
biografici. Dando séguito ad unindicazione di Aldo
Rossi che presentava Cesare Ruffato come un «guastatore
(si vorrebbe dire un dinamitardo)», Ernestina Pellegrini
ha infatti proposto di inserirlo «tra i guastatori
dellio della letteratura italiana contemporanea, insieme
a Gadda, a Pizzuto e ad altri sperimentatori intenti
ad uscire sistematicamente e furiosamente fuori di
sé».
Ruffato procede nella
sua irrequieta e feconda sperimentazione anche negli
anni successivi a Minusgrafie: del 1983 è Parola
bambola, che segna un ulteriore «sviluppo dello
sperimentalismo sul versante della sottigliezza retorica»,
ricco, comè, di soluzioni e ricercatezze stilistico-retoriche
e morfosintattiche. Questa raccolta intitolata alla
parola parola con cui giocare, parola feticcio
è forse quella che con più articolazioni riflette in
senso metapoetico, metalinguistico sulla scrittura.
Tre sezioni delle nove che compongono la raccolta hanno
un titolo tanto esplicito da assumere trasparente valore
didascalico: Nei dintorni dellenunciazione,
Il nome eunuco, Proposizione ellittica.
Non solo si ritrovano numerose, multiforme figure retoriche
nei testi, ma gli stessi termini della retorica, che
ha dalla sua un aspetto di storica scientificità, vengono
direttamente usati allinterno del testo in figurazioni
di secondo grado: «rosse aporie parodie / metafore
sulle agognate progressive / bricolando fochettìo rancione»
(p.59) in costruzione sinestetica; «metonimie pipistrelle»
(p.73); «sciarpe paragramme» (p.88); «effusioni chiasme
e diverse» (p.103).
Altro volume di poesia
sempre intitolato alla parola, allunità basilare della
comunicazione scritta e orale, è Parola pìrola,
la prima raccolta interamente in dialetto data alle
stampe da Ruffato che, dopo un solo privato testo poetico
dialettale del 1960, aveva pubblicato unicamente una
sezione in dialetto, Minusgrafia dialettale,
nel volume dedicato alla sua città natale, Padova
diletta.
La estesa produzione
in dialetto di Cesare Ruffato è ora compresa nel grande
già citato volume Scribendi licentia, che
riunisce le sue raccolte più importanti: Parola
pìrola, I bocete, Diaboleria, Smanie,
seguite da Sagome sonambole, Vose striga,
Giergo mortis. Se la scrittura in dialetto può
apparire oggi minoritaria rispetto alla gran massa
di pubblicazioni che ci sommerge con nuove uscite editoriali
quasi quotidiane, va considerato che non poche voci
poetiche proprio nel Novecento hanno adottato come
mezzo espressivo il dialetto il riferimento va, come
è ovvio, seppur di necessità parziale, almeno ad Andrea
Zanzotto, Giacomo Noventa, Franco Loi, Luigi Meneghello,
Ferdinando Bandini. Ruffato oltre ad aver frequentato
il dialetto come parlante, nelluso concreto domestico
e spicciolo dellespressione orale, se ne è servito
inventivamente come poeta, utilizzando il dialetto
alla stregua medesima dellitaliano, mantenendo la
sua scrittura in versi sperimentale anche nel dialetto,
che appare contaminato da termini tecnici, scientifici,
da parole dellitaliano mediale, da neologismi, da
latinismi e provenzalismi. Per quanto il dialetto indubbiamente
rappresenti un ritorno alla lingua materna, al parlare
ed ascoltare dellinfanzia e delle prime espressioni
ai confini del preverbale, nelloperazione compiuta
da Ruffato si sommano due aspetti: lingua materna da
un lato e lingua sperimentale, e quindi modernissima,
proiettata al nuovo, al futuro, alle neoformazioni,
agli accostamenti inediti, dallaltro. È una licenza
di scrivere davvero globale, quella che si assume
Ruffato, una libertà di scelte di parola, di costrutti
sintattici, di ritmi fluidi o spezzati, che davvero
risponde lucidamente ad una impellenza etica personale,
ad una sorta di scribendi necessitas. Anche
il dialetto diviene quindi, nelluso che Ruffato ne
fa, una «officina polisemica» in cui appaiono recuperati
termini del linguaggio post-industriale, lacerti mistilingui,
termini letterari e triti, ed in cui si accampa una
grande varietà di toni e soluzioni retoriche: sarcasmo,
ironia, giochi verbali, figure etimologiche. Il dialetto
diventa in se stesso figura di una eversione dalla
norma comunicativa: «Ruffato imprime al dialetto la
tensione dello straniamento (
). Il suo diventa un
gesto di esorbitanza, di cui il dialetto si trova ad
essere, nel contempo, il soggetto e loggetto». Si
tratta di un gesto concretamente storico: recupera
una lingua nelle sue antiche radici culturali sia popolari
che dotte e al tempo stesso reagisce in maniera forte
allappiattimento della comunicazione globale, della
comunicazione che livella litaliano in una lingua
da telegiornale senza più connotazioni, una lingua
artefatta in nome di una falsa egualità linguistica.
Lintento dichiarato di Ruffato è quello di «correggere»
la riduzione del dialetto a «caro estinto», e quella
forse ancor più subdola e rischiosa a «testimone fragile
intoccabile e incontaminato di una verginità sociale
ed esistenziale», per farne invece una lingua capace
di accogliere «avversità innovazioni e trasfusioni
linguistiche, un veicolo espressivo che concede non
solo di aderire ma di forzare la realtà». Si mantengono,
quindi, quei caratteri di complessità del testo, e
di plurilinguismo, anche nella produzione in dialetto,
che per questo si fa dialetto largo, non circoscritto
alle mura patavine. Se infatti il dialetto di Ruffato
ha una primitiva base urbana, è pur vero che egli ha
messo in campo «una quantità enorme di termini e idiomatismi
che si riferiscono tanto ad attività extraurbane quanto
intraurbane, allargando così in modo particolarmente
acuminato la sua tastiera, e su queste basi costruendo,
attraverso il neologismo o le parole-coagulo, ecc.,
e nella sua poesia poi accettando sullo stesso piano
anche il toscano, dal netto e limpido allo sbavato
o impettito». Un idioletto sensibilmente vitale,
dunque, che nel suo strutturale aprirsi a diverse lingue
risponde pienamente ad una antica osservazione di Contini,
che riconosceva Padova come «capitale del plurilinguismo
(
) e capofila di una lunga tradizione di ribellioni
linguistiche».
Nella scrittura in dialetto
Ruffato si dimostra comunque poeta che riflette sui
propri mezzi: non si limita ad assumere il dialetto,
cerca di indagarne le ragioni, metalinguisticamente
scrive sullo strumento espressivo che ha scelto: nel
testo che apre Diaboleria Ruffato parla di una
«capatina pèpola /sul dialeto no par delucidare / ma
co la fraca de lampra passion / dei cavalieri pal tesoro
del Graal». La radice etimologica dia-legomai è «maniera
de parlare dogni omo / co termini afiliai»; adottare
il dialetto significa scansare «la lengua buro / cratica
de lege», per adottare una «ecolingua» che ha un aggancio
radicale, corporeo con la realtà e quindi penetra,
«sindrenta / de più nele robe vere a priori». Sono
testi che hanno una grande carica espressiva, sia nel
linguaggio cangiante perché il ricorso al dialetto
non è naturalistico, quanto espressionistico , sia
nei referenti che vengono dal vissuto quotidiano con
suggestivi innesti fiabeschi: ci sono lucidi e disingannati
riferimenti allinfanzia, al mondo delle fiabe, compaiono
«ponti levatoi», «pezzi di carbone nella calza della
strega».
Lindagine insistita
del mezzo espressivo, delle possibilità comunicative
approda anche nella versificazione in dialetto ad una
riflessione metalinguistica che abbranca e mette ripetutamente
in gioco la parola e tutti i suoi travestimenti: Parola
pìrola che significa parola fuoco, parola rogo,
ma anche parola piroetta comprende infatti una sezione
che è intitolata Parola polena, proprio ad indicare
metaforicamente una parola che fende le acque, che
sembra far da pilota ma che serve anche, e forse soprattutto,
da elemento decorativo del grande vascello della comunicazione,
come effettivamente erano le polene: sculture decorative
antropomorfe (in figura di ibridi mostri o di sinuose
sirene) spesso cariche di valore superstizioso. E infatti
in questa sezione, che rimane una delle più significative,
i testi sono proprio intitolati alle varie funzioni
della parola, alle tante facce che questa può assumere,
in molteplici personificazioni sintomatiche di danni
sociali diffusi: Parola malà, Parola denaro,
Parola droga, Parola sui trampoli, Parola
sguardo. La parola sguardo, ad esempio,
dopo una burrasca lirica ha tentato «el raporto / dialetico
co limmagine, el tufo nel metatesto» con apparato
tagliente e acuminato come punta di diamante per eliminare
le muffe di un pianeta malato, coticoso «che vomita
el falso».
Lattenzione allattualità,
a questo pianeta dai troppi disastri ecologici e dalle
troppo frequenti guerre, è dominante in Ruffato ed
anche il dialetto è imperativamente chiamato a farsi
carico di questi mali, è piegato ad esprimere loggi,
tutti i molteplici traumi del presente.
La scelta dellespressione
poetica è sempre presa di posizione, e Ruffato è un
autore dotato di un rigore consolidato e di una tagliente
fermezza nel volgere lo sguardo alle cose, agli uomini,
e ai loro comportamenti. È un poeta capace di inoltrarsi
nei «dispetti della scrittura» con una affinata abilità
percettiva, e intendo qui i cinque sensi, quelli attraverso
cui innegabilmente con forzata sincerità passano,
devono passare tutte le esperienze umane. Lultima
raccolta in lingua, dopo la lunga attività in dialetto,
Etica declive, è un altro alto esempio di questa
sua forza incisiva, di questa perspicuità di visione
e di resa letteraria, sempre intrisa di riferimenti,
colta, complessa, misurata, sorvegliata. Una raccolta
che sempre mescola vari livelli linguistici, immette
lacerti di provenzale e termini medici in un tessuto
che deforma spesso polemicamente le normali prospettive
di osservazione della realtà. Abbiamo allora un «edema
religioso» (p.23), una «bontà sfinterica» (p.63), «lemorragia
della tristezza» (p.57), il «senso / varicoso» (p.64),
«lematoma cerebrale come modello / di intrigo vasale»
(p.34). È un libro declinante, Etica declive,
libro che prende atto e nel contempo denuncia la discesa,
la malattia delletica, della saldezza sociale, e pertanto
lassunzione dei termini medici, qui, si fa particolarmente
sostanziale, programmatica ancor più che in altre raccolte.
La morale decade crudamente, penosamente come decade
un corpo fisico senescente o ammalato.
La tessitura dei testi
è saldissima: sfugge alle decodificazioni, ma è compatta,
è stesa come mani di colore in maniera netta, senza
sbavature, procede attraverso un dipanarsi di immagini
perfettamente scontornate, senza aloni:
Biondocereo in una palla di vetro
tra i pochi di questo tipo perdenti
a sfumatura ironica insistente
che per la sorte non se ne può niente.Classica carogna di precoce
primavera fanatizza demonìo
giustiziere linfoide nel getto cardiaco.
Il sangue è una pila ingorda
di stantuffi al plastico becchini
fuoco e fiamme non bastano a virare
il malefico quale sia veramente.La leucosi strazia il letto vasale
putiferia le bave dei pioppi
paesaggio iella non distingue lorlo
soggetto oggetto, ingruma gli strisci
ematici, spara sulla microstoria.
Appaiono qui congiunti in una compagine stilistica complessa, e piena di raffinati accorgimenti retorici e di immagini distillate, temi esistenziali, spine personali, temi civili di ampia estensione e rilevanza. Nella congerie ormai vastissima dei critici diversi per formazione, per generazione, per cursus di attività che hanno offerto negli anni i propri contributi ad una lettura sempre più attenta della poesia di Ruffato, si può indubbiamente individuare una notazione comune o vicina: laver riconosciuto con forza di esempi e di argomentazioni la coerenza sostanziale del discorso poetico di Ruffato, che non è mai incline alle mode, ma sempre proprio, generato/scavato nel profondo, viscerale eppure decantato. Ha scritto, tra gli altri, Vincenzo Bagnoli che la sua scrittura «riesce a tendere al tempo stesso al duplice traguardo di una chiarezza e di una funzione critico-conoscitiva». E questo duplice traguardo è raggiunto da Ruffato grazie ad un modo di guardare la realtà e di risponderle che è al tempo stesso naturale, biologico, corporeo, eppure anche culturale, sovrastrutturato, sostenuto dal nodo fertile delle sue conoscenze scientifiche ed umanistiche. Nodo che appare evidentissimo in uno straordinario lavoro di cura del testo e di traduzione compiuto da Ruffato sul Liber medicinalis di Quinto Sereno Sammonico, testo su cui splendidamente si sono soccorsi, integrati, inquietati il medico ed il poeta. Ruffato, infatti, ha sempre scritto e lavorato nel pieno convincimento di una «mancanza di separazione tra le discipline»; ha veramente interpretato, reso manifesto quello che lui stesso definisce il «tramonto della famosa inconciliabilità fra scienza umanistiche e scienze naturali», senza però per questo arrivare a nessuna soluzione pacificante: non si tratta mai di una fusione tra i saperi, piuttosto di unutile frizione. Anche nellapproccio alla scienza, nello sguardo esaminatore che Ruffato volge verso le cose e verso la natura non cè serenità, cè invece attenzione al difforme, alle dissonanze, alla malattia; cè la morte che è sempre biologica e morale con tutto il suo universo livido e marcescente intorno, cè il male, la follia, il dolore, e tutta la difficoltà di superarli:
La solidarietà può smollare
obiezioni di coscienza. Il decalogo
del soccorso ai neoplastici traballa
precetti palliativi. Risciacqui
orali per i forti odori, enfasi
per lidea del male reversibile
frizioni degli estremi per gabbare
la sofferenza fobica incompresa.
Agli insensati vanno evitati
dispetti impressioni offensive
sugli organi dei sensi con clemente
complicità del parentado. Stanno
fuori gioco il mentire soffice
la dura sorte, il canta che ti passa
la speranza sul ponte della vita.
Il desiderio del corpo sano
acceca la numerologia clinica.
Come esiste una tensione,
un rapporto dialettico tra scienza ed humanitas,
nella cultura e nella scrittura di Ruffato, esiste
anche una tensione fortissima, altrettanto dialettica
e feconda, nei suoi versi, tra la norma (sia essa retorica,
stilistica, metrica, letteraria in senso lato) e linfrazione
a questa norma. È lurto fra i dati acquisiti tramite
la cultura e quelli acquisiti tramite losservazione
diretta, la sperimentazione in proprio; lattrito fra
parole consolidate dalluso o dalla tradizione e parole
di nuovo conio. Forse uno dei tratti più costantemente
vitali, eleganti ed innovativi della poesia di Ruffato,
fino ad Etica declive, è proprio questo slittamento
tra codice e sovvertimento del codice, per cui ci troviamo
contemporaneamente di fronte ad aggettivazioni quasi
classiche per quanto si stagliano nitide «a ridosso
della chiesa il chiostro / dorme nel coro del sole,
amico / anche per cigni neri e specchi» (p.53) , a
citazioni letterarie o anche cinematografiche «Lamore
che move il sole e laltre stelle» (p.18), «per
lo gran mar / de lessere» (p.55), «larancia meccanica
civile» (p.22) , a cadenze di lingua provenzale
«il ritratto si diluisce nel vento / tout ma mo cor,
e tout ma me / e se mezeise tot lo mon» (p.61) ,
a metri della tradizione ed insieme a rotture di quei
metri, a termini o sintagmi in qualche modo perturbanti
la linearità del testo, che è linearità anche di significato,
univocità della parola scritta. Decisamente stranianti
e culturalmente assai stratificati sono i trapassi
semantici de «il mattino / gregoriano transustanzia
un poco / il satis tecnologico allombra / dei carboni
di Hiroshima» (p.22).
Ciò che Ruffato sa bene
è che la poesia innegabilmente non conclude:
ai suoi versi non chiede mai significati fermi, scrive
in modo da creare diversi, possibili riferimenti incrociati
della sintassi, addensa sulla pagina una «materialistica
complessità nominale e fisiologica», procede per gettate
semantiche, per sospesi, lunghi ponti metaforici. La
poesia può dare significati plurali, può metterli in
attrito. Mentre legge, interpreta, tenta e ritenta
di svolgere il gomitolo, il «gemo ansioso della vita»
(p.18), Ruffato sa che la scrittura, «la penna», pur
dovendo fronteggiare il male, di fatto, poi, svela
solo in parte, non risolve:
Mai punctim ci si svela
da secoli massacro questi testi
cavandone solo lacerazioni.Poesia come sapienza del silenzio
indubbio brindisi fra le nuvole.
La si leggerà questa mia e quando
non si svela con la penna.
1. Una lingua per il poeta
Ho tra le mani Scribendi
licentia, summa della produzione dialettale di
Cesare Ruffato. Apro il volume, ancora profumato di
tipografia, e trovo queste parole a conclusione di
una sobria premessa: «ritengo questa mia libera messa
in scrittura un affettuoso etico riconoscimento verso
la lingua materna e un tentativo sfiorato da nostalgia
di corrispondere agli intimi richiami, particolarmente
sottili e inattingibili, della sua voce».
Ruffato è poeta colto
e sofisticato, un aristocratico cultore del trobar
clus votato alla mescolanza di stili, di registri,
di lessici e di temi. A metà del cammino della sua
vita decide di passare al dialetto, cioè a una lingua
che, almeno a prima vista, sembrerebbe condannata a
una povertà di forme e di contenuti antitetica al suo
progetto poetico. Come linguista e come parlante nativo
di un dialetto, che ha imparato litaliano come lingua
seconda, mi chiedo del tutto naturalmente quali ragioni
abbiano spinto Ruffato a compiere questo passo e
parlo ovviamente delle ragioni rese pubbliche e condivisibili
dal testo stesso, non di inaccessibili ragioni umani
e personali.
Come linguista e come
parlante nativo di un dialetto, percepisco subito che
la scelta di Ruffato è una scelta estrema e radicale,
per quanto apparentemente ovvia: è la scelta di trattare
il proprio dialetto materno semplicemente come una
lingua, per ritentare in quella lingua la scommessa
espressiva già tentata con litaliano. In dialetto
come in italiano, Ruffato tende la sintassi, contamina
e sollecita il lessico, spinge le risorse costruttive,
espressive e figurali dello strumento ai limiti del
dicibile. Con una differenza, e non da poco: la ricchezza
di stili, di registri, di parole e di temi che una
lingua matura e collaudata come litaliano offre tra
le pieghe dei suoi svariati usi e dei suoi lessici
plurimi, deve essere quasi integralmente costruita
nel dialetto.
Prima di descrivere
alcuni caratteri salienti della lingua di Ruffato dialettale,
vorrei cercare di chiarire in che senso la scelta di
Ruffato non è banale perché non è banale trattare
il dialetto non come la lingua di una cultura e di
una comunità dialettale, ma come una lingua e basta.
Per sottolineare questo punto, credo non sia fuori
luogo sbalzare il ritratto di Ruffato poeta del dialetto
sullo sfondo della sua antitesi, e cioè della figura
del poeta di un mondo dialettale.
2. Poeta in dialetto e poeta del mondo dialettale
Nelle comunità dialettali
più tipiche che non sono la Roma di Belli o la Milano
di Maggi, Porta o Tessa non cerano poeti, anche
se circolavano testi orali indubbiamente poetici. Il
poeta del mondo dialettale, che si identifica nella
comunità dialettale e nella sua cultura, nasce con
la crisi del dialetto come lingua viva della comunità.
È quindi il poeta non di una realtà ma di unidea,
quando non di unidea che si prende per realtà.
Il poeta del mondo dialettale
ha un sincero attaccamento al dialetto perché è attaccato
al mondo che il dialetto esprime. Sente che la fine
di entrambi è prossima e vorrebbe ritardarla, o evitarla.
In perfetta coerenza e buona fede, è convinto che scrivere
poesie vernacolari per lingua e orizzonti su un giornale
locale o in un opuscolo della Pro Loco dia un contributo
alla sopravvivenza del dialetto come lingua viva della
comunità.
Credo che sia ingeneroso
infierire contro questa figura di poeta, perché tutti
quelli che hanno imparato a nominare le cose e le persone
care con i suoni familiari del dialetto sanno che cosè
la nostalgia per una comunità al tempo stesso di territorio,
di lingua e di comunicazione, una comunità a portata
di voce che potrebbe raccogliersi tutta su una piazza
o in una chiesa.
Inoltre, nel momento
in cui le comunità dialettali sono sparite o stanno
per sparire, mentre la sopravvivenza del dialetto come
lingua parlata è sempre più affidata a un bilinguismo
consapevole e raffinato, è giusto e nobile cercare
di salvare un patrimonio culturale della dispersione
il dialetto allo stesso titolo di un monumento o
di un paesaggio umano.
Eppure, al di là dellempatia
umana, non si possono non vedere i limiti ai quali
una poesia dagli orizzonti vernacolari condanna la
lingua di cui si serve e che vorrebbe promuovere. I
suoi contenuti si identificano con i contenuti affettivi
e culturali codificati nel dialetto. Un purismo ossessivo
e difensivo vede come una minaccia mortale linnovazione
e la contaminazione di cui vive ogni lingua viva. I
destinatari del messaggio sono gli stessi membri della
comunità, che ricevono tautologicamente in versi e
rime i contenuti stessi del loro vivere quotidiano
nella migliore delle ipotesi, e nella peggiore una
ri-creazione allucinatoria e inautentica di un mondo
che il poeta di fatto non condivide. Linteresse per
la lingua come segno di identificazione della comunità
prevale sullinteresse per la lingua come giacimento
di risorse in gran parte inutilizzate per lespressione,
la simbolizzazione e la comunicazione. Se si tratta
di conservare un patrimonio culturale, daltra parte,
gli autentici momenti del dialetto sono i dizionari,
le grammatiche e i repertori, che sono in grado di
documentare con esattezza una lingua e una cultura
per come realmente sono state.
Il poeta che mette tra
parentesi il legame tra la lingua, un territorio, una
cultura e una routine comunicativa, viceversa, affranca
il dialetto dal suo destino di ancella povera di un
mondo povero, liberando al tempo stesso il potenziale
di creazione e espressione che il dialetto racchiude
in sé come ogni lingua. Un dialetto è, glottologicamente
parlando, una lingua, ma è lingua di esperienze povere
e di orizzonti limitati. Delle lingue riconosciute
come tali dai filologi, gli manca la molteplicità delle
tastiere, e laccumulo lessicale che ne deriva. Il
poeta sensibile, però, è capace di guardare nella lingua,
e di capire che lostacolo non è interno, ma esterno.
Egli non confonde i limiti contingenti, storici, etnografici
e geografici del dialetto con un limite delle strutture,
che viceversa sono pronte a compiere il lavoro di qualsiasi
lingua. Egli si prende dunque cura della lingua come
di un embrione prezioso e fragile, lo nutre di cultura
e di esperienza fino a farlo maturare. Basta questo
perché a ogni poeta dialettale si apra, nella scala
di grandezza che gli è propria, la strada che fu di
Dante: creare insieme un contenuto e la sua espressione,
spingere sempre più in là al tempo stesso il limite
di ciò che si può dire e il repertorio delle risorse
per dirlo.
Per arrivare a questo
punto, però, occorre rompere il guscio della cultura
vernacolare e liberare la lingua come lingua. La viva
voce diventa scrittura. Il corpo delle parole perde
il contatto con i suoni del mondo vissuto, che il parlante
nativo custodisce nel ricordo come il suono delle campane
o lo scroscio della pioggia sul tetto di casa, ma diventa
solida pietra, capace di dilatare la sintassi e di
differire il messaggio nello spazio e nel tempo. Da
strumento al servizio dello scambio diretto e effimero
di povere cose, il lessico è pronto a mutarsi in strumento
di espressione differita di tutto ciò che può essere
detto, dentro e fuori di noi, in cielo e in terra.
I suoi messaggi non si spengono dentro i confini di
una piccola comunità, ma si aprono a un destinatario
potenzialmente universale. La poesia in dialetto condivide
insomma il destino di ogni poesia.
3. La lingua di Ruffato dialettale
Con questo non voglio
dire che la scelta di poetare in dialetto abbia una
ragione univoca e semplice. Ma ritengo che il progetto
di promuovere la lingua sia la ragione più qualificante,
e quella di segno sicuramente positivo. Altre ragioni
ci sono, ma sono piuttosto di segno negativo.
La scelta del dialetto
è certamente una fuga della «lengua rompibale», «fora
dal spotico / incancrenio de la lengua buro / cratica
de lege» verso «na ecolingua / grembo e marsupio che
abita alita / riscata el sogno». Articolando i suoi
messaggi in dialetto il poeta si lascia alle spalle
la
Fadiga boia destegolare
la parola materna nel talian
ufficiale impirare bocaboli
de festa patentai de lusso
che via crucis ubiquovadis supra
nubem col detato bàtare le dopie
crivelare lesse impura da la pura
la caca articoli e pronomi punti
virgole predicati. Un disastro
el senso sorvolante consecutio
temporum congiuntivi vadi fuori
paleti polissiòti de gramatica
e sintassi.
Nel momento dei lutti e dei rimpianti, inoltre, il dialetto si presenta naturalmente come «una teca dellio che lo difende dallo svenamento culturale del simbolo, da eccessi di straniamento e stranierismo», come
na lengua materna che viaja
da le vissere alla metafora
un tesoro de luce fogo acqua aria
e sostanse che ne dà vita.
Ma alla fine non si può non vedere la volontà imperiosa di compiere in dialetto ledificio poetico iniziato in lingua di costruire un monumento poetico al potenziale espressivo e costruttivo del dialetto.
3.1. Il lessico
Del dialetto materno
Ruffato conserva un nucleo condiviso formato dalla
fonetica, dalla grammatica e dal lessico di base
nei confronti del quale il poeta è rispettoso fino
allo scrupolo. Linnovazione, che pure è appariscente,
colpisce la parte più mobile della struttura, il lessico,
con una doppia strategia, di immissione dallesterno
il prestito e di creazione dallinterno: la neoformazione.
Ma anche qui occorre fare una precisazione. Il prestito,
quantitativamente massiccio, tocca lo strato più estrinseco
del lessico, e cioè la nomenclatura, la pura e semplice
istituzione di etichette per le cose e i concetti estranei
al mondo dialettale, mentre gli strati funzionalmente
più centrali e attivi, e in particolare i verbi, sono
formati sfruttando il patrimonio e il potenziale di
formazione interni alla lingua.
I prestiti sono tendenzialmente
adattati allambiente fonetico e morfologico del dialetto.
Nel caso dei prestiti
italiani, di gran lunga i più numerosi, il mimetismo
è facilitato dalla fonetica veneta, la più simile alla
fiorentina, al punto che certi versi sono suggestivamente
ambivalenti, come questo «vera sorpresa del tempo e
della memoria».
La fonte prevalente
dei prestiti è fornita dai lessici settoriali, già
intensamente scavati nella produzione in lingua, ma
più straniati e stranianti nel contesto dialettale.
Ruffato preleva senza remore «termini galeoti / biocenosi
biotipo omeostasi entropia» (201) dalla medicina, dalla
tecnologia, dalle scienze naturali e umane e dalla
filosofia. Alcune volte, il travestimento è volutamente
carnevalesco e sottilmente polifonico: lessemi come
pissicologico, psicomedesime, robità,
ad esempio, portano in scena una voce irriducibilmente
restia a cantare allunisono con lufficialità scientifica.
In ogni caso, il risultato della massiccia immissione
è un pittoresco miscuglio di stili e registri già sperimentato
in italiano, con in più un aumento vistoso dellampiezza
delloscillazione tra ingegneria genetica
e spalpòna, ad esempio, o tra ontofania
e simiabile dovuto al prevalere, nel dialetto,
di una medietà attestata sul parlato-parlato a fronte
del parlato-scritto o addirittura dello scritto-scritto
che definiscono la fisionomia attesa dellitaliano
poetico:
Lingegneria genetica impermalìa
squasi sindamonia a cambiare i conotati
drento e fora de lindividuo, spalpòna
el scrito de la filosofia bio
logicaEl fin sempre più fin de rason sbrufa
altro specio de na robità che tira
anca Dio traverso scarpie de segni
co bola de Bocacio la teologia
niuna altra roba xe che na poesia
de Dio simiabile solo dal poetaEl tema difesa dellambiente
ed emergenza rifiuti mintavana
Le espressioni straniere conservano intatta la loro cruda estraneità, contribuendo alla diversificazione del testo:
Sabo de hooligans candeloti
irruenti, piere e bote
tepa bastarda vissià
giusta per la riva de Caronte
Ci sono inserti in lingua
straniera che si estendono oltre il limite della parola,
in provenzale molt mi platz in latino
Domus Dei sunt et porta coeli e addirittura
in serbocroato: braco srbi hrvati / muslimani, prekinite
rat. Al di sotto della soglia della parola, radici
straniere entrano in singolari pastiche: polisaund,
disneybabele, urforsa, spetri killerini.
Le neoformazioni sfruttano
con estro e inventiva la produttività dei meccanismi
morfologici di composizione e di derivazione, che notoriamente
le lingue utilizzano con grande parsimonia: in italiano,
ad esempio, potrebbero esistere, ma non sono attestate,
parole come elettrotrapano e brevezza.
Ruffato si sbizzarrisce nella composizione pensiamo
a esiti strabilianti come cineoci (cineprese)
o cinevita ma soprattutto nella derivazione
da robità a scursofilia («la passione
per abbreviare siglese»). La creatività lessicale celebra
persino un suo orgiastico mito dorigine perso nellinfanzia:
Gran boresso xe capità che snana
randome nel fosso go butà
da genieto na carga gringola
de parole storpiae neologiste
[ ] me ga montà
la testa da poeta in erba
espressionista
Il capitolo più corposo della derivazione percorre ancora una volta una strada già collaudata nella produzione in italiano: si tratta del procedimento, di memoria dantesca, che crea verbi da nomi, da aggettivi o da pronomi per suffissazione ne postissa («ci rende posticci») o più spesso per prefissazione e suffissazione (verbi parasintetici): inlemmarne, imamarme («immedesimarmi nella mamma»), sintragedia, sintàita (da tight); sindamonia. La creazione di verbi denominali non è gratuita, ma ha una giustificazione funzionale nella volontà di prosciugare lespressione, contrastando una costituzionale lentezza delliperanalitico fraseggio italiano: La morte latente / sinorgana in oci scavai serciai. La stessa motivazione giustifica luso transitivo di verbi intransitivi:
La voce camina su e zo parole
nunsie de poesia vestigiale3.2. La sintassi
Il fraseggio di Ruffato è esasperato, tormentato, sconquassato. I punti fermi, unico segno di interpunzione ammesso, scandiscono il flusso in moduli che non sembrano nemmeno frasi, dove le parole cozzano e si scavalcano come pezzi di ghiaccio trascinati dalla corrente del disgelo, sempre sullorlo del nonsenso. Ma uno sguardo più attento scopre strutture ricorrenti, e in particolare una che combina felicemente il rigore della sintassi essenziale con le dissolvenze di struttura tipiche della poesia. Si tratta di un grappolo espressivo formato da un nucleo di frase seguito con o senza punto fermo da una cascata di nomi assoluti, giustapposti come in un elenco:
La barba simperla de note acquose
e tendresse de rime interne.
Ième duro su la soja parécia
bazar, accademie, ris-ci de ingòsso.Nuvole in rendigote scure e a ciara
de ovo al galà ghe ne combina
una par colore, bruschi de bombaso
stringhe de sùcaro filante
bomboli de nieve, s-ciuma s-ciàchete
su lungomare scoliere sagome
spiriti de persone care, fantasie
de piante e bestie rare
voce narcisa sferussà de lana
che bocola tresse tirabasiFiumeseli e fosseti lagrema
strucai come mosti, caliere
de colori per lane, borse
nei oci de veci sgarbelosi
Come nei testi in lingua, lo scheletro sintattico essenziale della frase lo stampo del significato si presenta in genere intatto, al punto che possiamo farne lanalisi logica, e individuarne soggetti, predicati e complementi. Tocca invece alla cascata di nomi disarticolare la forma interna del significato in un labirinto di attrazioni e repulsioni del tutto prive di un supporto strutturale, dove nulla è irreversibilmente collegato a nulla e tutto può entrare in risonanza con tutto, dato che i nomi giustapposti non hanno alcuna relazione evidente né con la struttura della frase né tra di loro.
3.3. Linvestimento figurale
La lingua poetica è
il «nuo vestio de lanima», che «sindrenta / de più
ne le robe vere a priori»; con le sue «parole prime
parentali / ne loro de la vita ciama / linconscio
lalante corente». Basta citare questi pochi frammenti,
e non si può non vedere come nella poesia di Ruffato
un denso investimento figurale dissodi tutti i livelli
della lingua, dal suono alle architetture del significato:
lossimoro insegue la metafora, allallitterazione
fa eco lomoteleuto, formando un chiasmo di figure.
Le figure non sono increspature
reversibili sulla superficie del senso, ma strumenti
per mandare messaggi nuovi spingendo al massimo la
valorizzazione delle forme e delle materie condivise,
foniche, disposizionali e concettuali. Quando cè autentica
creazione il testo, nella sua disarmante contingenza,
si presenta come regolato da uninterna necessità,
e le figure rappresentano la punta avanzata di questo
capovolgimento di valore, per cui il più umile dei
suoni, che è così semplicemente perché è così, senza
un perché, diventa un ingrediente insostituibile di
quel particolare «baso s-ciocà de sóni e senso».
Le metafore trovano
i loro veicoli nelle povere cose che popolano la civiltà
del dialetto, ma il gusto per la lingua povera e per
le cose severe del quotidiano non avvilisce laltezza
del messaggio. La convenzionalissima fonte della verità
diventa, trasposta in un mondo di cascina, «la pompa
/ de la verità», e anche i sogni si devono accontentare
del veicolo modestissimo con cui si porta la terra
sugli argini e i mattoni al cantiere:
La vita lagrema sconsolà
no cavemoghe la carioleta dei sogni
La mente è un «campo neurochimico tuto da arare», e non «tutto da scandagliare», come suona la traduzione italiana. Le tappe salienti della vita parlano il linguaggio della quotidianità:
Nassita e morte parole insupae
de pianto che taca e destaca
la spina del ciaro e del scuro
el resto tuto na papa in balansa
Senza rinunciare alle insegne del suo prestigio poetico, la luna scende tra gli animali da cortile
La luna in camporela sbaja
co sapiensa de oro bianco
mai la se sòsega nel spin de vento
del primo aludir de lestasi
vera sorpresa del tempo e memoria
La voce che, come scrive
Humboldt, «sgorga dal petto come lalito dellesistenza
stessa», in poesia è materia prima privilegiata più
che in altre forme di testo. Eppure non si sente, si
può solo indovinare assopita sotto la superficie scritta.
E allora tocca all«ocio de la vose» il compito di
vedere «lombria del son» la «mora del son / de lessere».
Ruffato rifugge dallonomatopea
e dal simbolismo fonico, probabilmente perché è poeta
troppo disincantato per coltivare il mito di una voce
mimetica. Non disdegna invece lesibizione dellomonimia,
disarmante testimone dellarbitrarietà dei suoni: «El
fin sempre più fin»; «le raise ime de nóte che la nòte
/ lùcubra». I suoni non pretendono di dare voce immediata
alle cose, come ad esempio in Pascoli, e la poesia
è la più mediata e costruita delle arti. Ruffato è
fine poeta del suono, ma di un suono ridotto a musica
nella sua irriducibile alterità, che ricama la superficie
del testo senza interferire con la trama del senso.
Una volta riconosciuto questo limite, si assaporano
nel testo le assonanze, delicatissime, quasi impercettibili
«Lama de senso intonà dal vento» e le allitterazioni
«Seca pur straca sensa stonare» e tutti i giochi
cari ai poeti con il fragile corpo sonoro del senso
le parolete predilete petegole e le parolete
margarite violete che inseguono
el senso del segreto, el segreto
del senso, el senso del senso
la voce del specio del silensio.4. Una poetica del destinatario
Il poeta non usa la
parola per esprimere ma per costruire senso non per
riproporre contenuti noti in una lingua trasparente
ma per scavare lessenza delle cose di dentro e di
fuori in una lingua difficile, segnata dalla loro estraneità.
Il senso che si esprime
è senso che cera già, e allora la parola poetica degenera
facilmente in chiacchiera, parla perfettamente un gergo
e non dice nulla. Il senso che si costruisce, invece,
è un senso che non cera ancora, ma allora quel senso
sarà solo in quelle parole e non in altre, e ci sarà
solo se qualcuno farà proprie quelle parole e se ne
prenderà cura. Il poeta cerca di strappare al silenzio
qualcosa che non è mai stato detto, che forse è indicibile,
e lo affida a qualcuno che forse non lo capirà. Alla
radicalità della creazione fa pendant lindecidibilità
del destinatario.
In un celebre aforisma,
Wittgenstein invita, non si sa bene se con decisione
o con rassegnazione, a erigere di fronte allindicibile
una barriera di silenzio: «Wowon man nicht sprechen
kann, darüber muß man schweigen Su ciò di cui non
si può parlare si deve tacere». La scelta del silenzio
è una scelta ascetica, di responsabilità verso il linguaggio
e dunque verso linterlocutore. Il linguaggio è il
solo strumento condiviso in grado di prendersi cura
delle poche verità accessibili al pensiero umano
le verità su ciò che cè intorno a noi. Le verità che
contano, ciò che è dentro di noi e sopra di noi, sono
inaccessibili al pensiero coerente e distinto. Cercare
pubblicamente queste verità, fuori dalla silenziosa
e solitaria «teca dellio», significa al tempo stesso
mettere a repentaglio il linguaggio di tutti e rischiare
lincomuncabilità.
I soli contenuti che
il linguaggio riesce a esprimere senza incrinarsi nello
sforzo sono contenuti discreti e coerenti. Nel momento
in cui si confronta con lindicibile, lespressione
si espone allinsidia del nonsenso, della contraddizione,
dellincoerenza, e quindi al rischio dellincomprensione.
Ma la scelta di proteggere
a oltranza lintegrità del dispositivo linguistico,
la trasparenza e la comunicabilità immediata dei testi,
condanna al silenzio proprio gli oggetti che più premono
per affiorare allespressione: le emozioni, confinate
nel grido inarticolato e nel gesto, i messaggi dellinconscio,
che aggirano le censure simboliche con sintomi inquietanti,
ma anche la deliberazione morale e le domande sul senso
della vita, alle quali la condivisione nella parola
offre, se non soluzione, conforto. Ritroviamo qui il
conflitto mai risolto tra le ragioni di Parmenide e
le ragioni di Eraclito tra il silenzio che protegge
la parola coerente, e limpulso, che minaccia lespressione,
a dare una voce allindicibile.
Tra i due poli opposti
si apre un campo di tensione che investe la responsabilità
di ogni parlante. Il linguaggio non può rinunciare
a essere discreto, pena il silenzio, o lurlo inarticolato.
Ma se in nome di un ideale astratto di ordine la parola
si ritrae dalla sfida dellindicibile, il linguaggio
non è più forma che dà forma, ma forma passiva, vuota
tautologia, fico sterile. Questo campo di tensione
è il terreno elettivo del poeta. Se il mito filosofico
di unespressione adamantina della verità esalta il
linguaggio come ordine che esprime ordine, tocca in
primo luogo alla poesia costruire espressioni che sfidano
il disordine e il silenzio, al prezzo di sacrificare
al tempo stesso la loro cristallina impermeabilità
e lautosufficienza.
La tensione costruttiva
incide nel corpo dellespressione le ferite del conflitto,
la contraddizione, lincoerenza, il paradosso. Lespressione
perde così la sua impermeabilità: «Il poeta e il mistico
si avventurano a sfidare lambiguità verbale, a travalicare
le norme del linguaggio, ad attingere alle oasi inesplorate
del non-senso, del subsenso e del microsenso, del non
detto, saturo di significato, esibendo la fascinazione
del silenzio» scrive Ruffato in prosa, e si fa eco
in versi:
Poesia come sapienza del silenzio
indubbio brindisi fra le nuvole.
Mentre si fa oscura e contraddittoria, lespressione che insegue lindicibile, sospesa tra silenzio e silenzio, tra un contenuto che forse non può essere detto e un messaggio che forse non sarà raccolto, perde la sua autosuffcienza. Non racchiude un senso compiuto e irrevocabile, immediatamente e pubblicamente condivisibile, ma si offre alla ricezione e alla condivisione come un frutto offre un seme. Come il seme, lespressione germoglierà e darà un frutto se qualcuno se ne prenderà cura. Altrimenti, morirà per sempre:
Dove parole e figure no riva
el mistero sbassa seje e sipario
la peripatetica nera mena
el gnente par sé tuto
lestremo cao icse de ognun.
As composições poéticas de Cesare Ruffato são marcadas freqüentemente pelo pastiche plurilingüístico, pois o autor recorre aos vários registros expressivos do italiano: o literário; o padrão; o falado; o científico, sobretudo o jargão da medicina, por ser ele médico e professor universitário de radiologia e radiobiologia. Em suas poesias, as palavras estão quase sempre em conflito com a realidade e, em vez de se oferecerem ao leitor em seus sentidos corriqueiros, parecem estar em busca de uma ressemantização, de um sentido outro que as impele a violar os limites normativos da língua. É come se, em suas obras, o poeta quisesse captar um sentido oculto do mundo, um sentido que vai se dissolvendo à medida que é expresso na escrita e que se manifesta nessa consciência que as palavras têm de suas dilacerações, da perda de referências da realidade, que as leva, às vezes, a resvalar para a ausência de um significado preciso. Nessa luta contra a erosão do sentido, as palavras, em Ruffato, se abrem a novas significações, graças àa constantes manipulações morfológicas, sintáticas e lexicais, que fazem da poesia o terreno privilegiado de um incessante experimentalismo. Para dar uma idéia de seu universo poético e da reflexão metalingüística à qual Cesare Ruffato convida, apresento a tradução em português de uma série de poesias inéditas, comentando algumas escolhas que se impuseram no ato tradutório.
È
nella fortuna della tradizione
che il poeta si aggrappa a rime e cuore pertica iperboli stura alambicchi sfiora i nasi dei lettori e scende a patti colle parole in lunghe insinuazioni perde il pelo arrota il pensiero per tagliare finta verità e versi obelici. Così equilibrista guarda innanzi e soltanto alla fine recide il filo virtuale del sogno su foglie cadenti sprovvedute. |
É na fortuna
da tradição
que o poeta se agarra a rimas e coração, mensura hipérboles, desentope alambiques, roça o nariz dos leitores combina pactos com as palavras em longas insinuações perde o pêlo afia o pensamento para talhar falsas verdades e versos oblíquos. Assim, equilibrista, olha pra frente e só no fim dá um corte no fio virtual do sonho sobre folhas cadentes surpreendidas. |
Le
tue poesie che giorno per giorno
riscopro senza poeta ma nella luce dinchiostro mi dicono solo voce di pena sfinita dalla siepe sfingea che acuisce un po la nostra falsità su ipotetici modelli di mondi. Una attenzione condivisa daffetto animava oggetti e mani tese anche allo sparire della realtà in lucore e luna pieni di vuoto. Imitavi la mia mimica facciale ero un quasi specchio speciale spalancato ad intuirti in gioco simbolico appena sorto. |
Tuas
poesias que dia após dia
redescubro sem poeta mas no luzir da tinta só me falam da voz de pena finda desde a sebe esfíngica que aguça um pouco nossa falsidade sobre hipotéticos modelos de mundos. Uma atenção partilhada de afeto animava objetos, mãos estendidas também pra realidade que se esvai em luz e lua cheias de vazio. Imitavas minha mímica facial e eu quase espelho especial escancarado para intuir-te num jogo simbólico mal surgido. |
Gli
anni trascorsi sono gli istanti
attuali di incertezza e ricerca oltre le trame fluenti di dolore. Sembriamo bimbi sfiniti da luce dal giocattolo più caro e raro dalle sillabe intime paludate. Ovunque il vuoto frammenta il vetro della festa ridesta il lavoro muto. |
Os
anos idos são os instantes
atuais de incerteza e procura além das tramas fluentes de dor. Parecemos crianças cansadas pela luz pelo brinquedo mais caro e raro pelas sílabas íntimas empoladas. Por toda parte o vazio fragmenta o vidro desta festa reacende o trabalho mudo. |
Sapore
di menta barocca
nella logica degli alberi maestri ove il cielo ruba il fondo e il lago. Le peripezie accostano la vela maliosa provocante in controluce quasi lume teso di candela. Le tue ciglia frantumano i miei precipizi e i riflessi del silenzio. |
Gosto
de menta barroca
na lógica das árvores mestras onde o céu rouba o fundo e o lago. As peripécias aproximam a vela que cativa provocante em contra-luz quase lume tenso de candeia Teus cílios fragmentam os meus precipícios e os reflesox do silêncio. |
Effetti
bellissimi accendono
lacqua di porpora che attraversa il paesaggio in acuta pedagogia di rigagnoli quasi rete di pensiero. Il giorno particolare guarda il vuoto e non si vuole toccarlo nella propria statuaria dignità così impigliati in singulti ossessivi di psiconomadanza. |
Efeitos
belíssimos incendeiam
a água de púrpura que corta a paisagem com aguda pedagogia de riachos quase rede do pensar. O dia especial fixa o vazio e não se quer tocá-lo em sua estatuária dignitade tão presos em soluços obsessivos de psiconomadismo. |
Ombre
minuziose canoniche
sul libro dore recitano salmi e versetti per illuminare sguardi e discorsi che accorciano il presente sociale. Distanziamoci a gesticolare la fiaba dei sogni con tempo e spazio arcaici e per ognuno diversi. Per dirti sic et sempliciter cosè il tempo dovrei entrare inconsistente nella velocità universale. Ogni tanto consulto lorologio del vissuto prima di sfaldare in quiete spietata. |
Sobras
minuciosas, canônicas,
no livro de horas recitam salmos e versículos para iluminar olhares e discursos que abreviam o presente social. Afastemo-nos para gesticular a fábula dos sonhos em tempo e espaço arcaicos e para cada um diversos. Para dizer-te sic et sempliciter o que é o tempo deveria entrar inconsistente na velocidade universal. De tanto em tanto consulto o relógio do que vivi antes de me partir em paz impiedosa. |
Lettura
meticolosa sfuma
il ritardo della sera dun mese stinto polveroso, labbra e fiume nel divario hanno perso il lume fantasioso dellacqua. Anagramma ipofonico ondeggia segni colmi compone un filtro di effetti incerti. La nube burlona gioca con la luna. |
Leitura
meticulosa desfaz
o atraso da noite de um mês desbotado, poeirento, lábios e rio ao se afastarem perderam o fio fantasioso da água. Anagrama hipofônico ondula sinais saturados compõe um filtro de efeitos incertos. A nuvem brincalhona joga com a lua. |
La critica non può non
porsi la questione della coercizione linguistica e
stilistica che la poesia attua, come ogni altra forma
di espressione, sulla realtà e se il linguaggio verbale,
con le sue risonanze, apre una visione del mondo è
anche vero che la condiziona. Come la critica stessa
condiziona la visione dellopera letteraria. Quanto
dico è ovvio, ma appunto per questo motivo il tiro
incrociato che Testuale attua sullopera di
Cesare Ruffato si pone come unico modo corretto di
fare critica, tanto più che evidenzia quanto lapproccio
metodologico condizioni il giudizio, come quando, ad
esempio, Ferri parla, ma a livello complementare, di
asintattismo mentre Prandi sostiene che, se guardiamo
allo scheletro sintattico essenziale, che è
poi lo stampo del significato, ci rendiamo conto che
si mostra intatto [sott.mia].
Ferma restando limportanza
di un poeta come Ruffato, la cui complessità poetica
non è mai gratuita (Richiedere
la semplicità alla
poesia
è un paradosso), e fermo restando il valore
degli interventi critici che Testuale presenta
(e che, nella loro completezza e profondità, impediscono
ad un neolettore di Ruffato come il sottoscritto di
compiere una nuova utile indagine), vorrei porre lattenzione
su una questione ermeneutica che è poi anche critica
ed etica.
Grazie alloperazione
di Testuale (rivista sempre attiva su questo
fronte) ci si trova più serratamente di fronte alla
riduttività storica della prospettiva ermeneutica,
ci si trova, in altre parole, di fronte al fallimento
dellutilità di una apertura del senso e alla pericolosità,
ma pure imprescindibilità, di un approccio filosofico-linguistico
storicizzato al testo poetico, il quale è, tendenzialmente,
almeno nei poeti di spessore, ossia creativamente liberi
come Ruffato nei poeti, dunque , in parte restio
alle sintesi aprioristiche dellorizzonte epistemologico
per quanto fondato esso sia (orizzonte necessario invece
riguardo ai valori fenomenici, anche della poesia stessa):
è poi sorprendente come nella comprensione poetica
la scientificità, quella deterministica intendo, sia
invece addirittura deleteria per lo specolo fenomenologico.
Ciò proporrebbe anche un altro problema, che in verità
esula dallo specifico, riguardante la funzione e la
funzionalità di una critica straordinariamente attrezzata
che finisce per bollare non solo, giustamente, il criticume
ma anche esperienze poetiche non tecnologicamente alla
sua altezza. Mi pare che uno dei rischi maggiori, oggi,
sia proprio la soggezione della poesia alla critica,
soggezione che finisce per togliere alla scrittura
poetica la descrizione o una lingua poco sorprendente
condannate luna e laltra anchesse a priori (il rifiuto
odierno, non motivato, del simbolismo naturalistico
e delle sue invece fondate e necessarie sfumature tonali
è una prova di ciò).
Detto questo, a difesa
della poesia la cui autenticità non dipende né da intelaiature
né da assenza di sostegni, vengo al discorso sulla
critica "declive". Con declive, ricavato dal libro
di Cesare Ruffato Etica declive, non intendo
quindi una critica in caduta, ma una critica che guarda
il testo da una qualche altezza, filosofica o linguistica
che sia, che è poi, in ogni caso, lunico modo fenomenico
di guardare il testo. Mi pare, ad esempio, che nel
numero di Testuale dedicato a Ruffato (e anche
nel saggio di Cecilia Bello pubblicato su questo stesso
numero di Hebenon) il punto di vista derridiano
sia assai presente. Con ciò, limpossibilità dellermeneutica,
già da molti denunciata, non consiste tanto nel titanismo
sotteso allo sforzo esegetico e/o di purezza (purezza
fortunatamente inattuabile seppure giustamente perseguibile)
quanto nella sua coercizione ideologica, nel suo progredire
con corrispondenze biunivoche e in modo monogenerante.
Certo, la scelta derridiana è quanto di meno pericoloso
possa esserci in questo senso, e tale critica declive
finisce davvero, come indirettamente promettono Vincenzo
Bagnoli e Antonio Prete, per cadere nei margini,
nelle dogaie dellinterpretazione.
Ma proprio questa correttezza
operativa, che Bagnoli deriva dalloperare poetico
di Ruffato, dovrebbe salvaguardare il campo della poesia
da barriere stilistiche che ne limitano ulteriormente
la portata scientifica, barriere tra pretesa poesia
di avanguardia e pretesa poesia lirica che fanno soffrire
chi la poesia la ama indipendentemente dalla sua caratterizzazione
formale. Il problema è la poesia, non il suo abito.
E in virtù di questo è semmai importante tentare di
valutare il nesso tra la teoria di Ruffato che la
poesia è un operare, un fare che diversifica il senso.
Se non fosse così cadrebbe il castello di sabbia della
poesia e la pratica poetica dello stesso. Perché,
proprio appoggiandoci alle molte considerazioni sullo
stile, tendenzialmente elencativo, accumulatorio,
lumanistico scientismo, di cui parla Ferri a proposito
di Ruffato, rischia di essere inteso come un mero fatto
linguistico, che invero non è, attraverso il quale
si ridurrebbe ad essere semplicemente divulgativo,
ad avvalersi cioè solo sono parole dello stesso Ruffato
del combinato utilizzo dei significanti e dei significati
della scienza, e a non riguardare, epistemologicamente,
la poesia e, sostanzialmente, lappercezione e la vita.
Una poesia divulgativa sarebbe proprio il contrario
della poesia, almeno sempre secondo lottica di Ruffato
(che, detto per inciso, condivido) e non ci dovrebbe
essere altra ottica da cui partire nel giudizio estetico
oltre a quella dellautore, altrimenti si evaderebbe
nelletico, piano sicuramente importante, come bene
rileva Laura Detti, ma diverso.
Ecco, io non sono un
conoscitore della poesia di Ruffato da oggi, almeno
per ora, vorrei essere considerato solo un suo estimatore,
soprattutto di quella dialettale , ma ritengo che
un ulteriore stadio di ricerca su di essa possa proprio
orientarsi nelle resistenze, pur vane, al declivio,
allideologico, cercando di salvaguardarla da quello
che esula dal rapporto teoria/pratica e di indagare
nella scientificità o meno del suo plurilinguismo,
della sua verbalizzazione dei sostantivi, ecc. Per
fare ciò, per evitare quindi che la complessità di
Ruffato non sia in verità il volto della complessità
della critica deriddiana, gadameriana o hjemsleviana
su Ruffato, bisognerebbe allora rivedere alcuni concetti
Derrida non vuole decostruire anche questi? , come
è soprattutto quello di postmoderno, la cui scolasticità
mi pare impedire, anche agli ottimi studiosi che hanno
lavorato su Testuale, una valutazione meno declive
della poesia di Ruffato.
La complessità della
poesia di Ruffato, erede tanto delle avanguardie manieristiche
quanto del simbolismo europeo, richiede unindagine
particolareggiata che possa evidenziare le sue valenze
interne. Ho considerato, per questa indagine, la sezione
Prove di Saccade (Libro italiano, Ragusa 1999),
un libro che segna una svolta nel percorso poetico
del Ruffato in lingua.
I temi dominanti in
Prove riguardano la conoscenza, il dialogo, lemozione,
la poesia, linvecchiamento, la memoria e sono fra
loro connessi. La scrittura di Ruffato si nutre di
riferimenti personali, non sempre sublimati, ossia
resi simbolici, e quindi non sempre loscurità dei
suoi testi è giustificata dallampiezza dellemozione
che ne è alla base. Emozione che invece spesso trova
espressione nella rifrazione simbolica delle tematiche,
come, anche a livello concettuale, nella poesia di
p.24 quando il poeta scrive dell«amplesso acquoso
per fare / manifesta la poesia estrema», metafora che
richiama il parto (il rompersi delle acque) e allo
stesso tempo lacqua come nutrimento vitale. Lintero
testo è inoltre un inno alla poesia, la quale, per
Ruffato, concede la salvezza al poeta, lo fa uscire
dal «caos», gli fa capire ciò che la finzione («maschera»)
non dice («a bocca chiusa»). Lacqua è anche una «lingua»
che «rotola nel greto» con la conseguenza del nesso
analogico parlare-ruscello, ripreso tra laltro nella
poesia di p.31 («labbra e fiume / hanno perso il lume
/ fantasioso dellacqua»), nella quale il «lume» come
creazione, pensiero, ispirazione, appartiene allacqua,
alla vita, allemozione, ed è stato smarrito. Così
la conoscenza (lume) e la comprensione (vita, acqua)
diventano contenuto e contenente e il parlare del secondo
resta arcano. Ma in Prove (perlomeno) luce e acqua
sono strettamente connesse. Si veda, nel primo testo
(p.15): «Il fiume quasi alla fine tende la corda /
ecosofica del senso nascosto»; si può notare il farsi
contenente oscuro dellacqua, e così «il vecchio blu
del mare» e le «gocce monologanti» che sono la forma
(«in») dell«incomprensibile esserci», portano il poeta
a giudicare «ipocrita» la «luce».
Con questa chiave di
lettura, il testo di p.20 ha uno scioglimento chiaro:
lacqua con «passi di fiume / consente un lessico trasfigurato
/ e al corpo ogni vergogna» e «panneggia / occhiali
da sole» e, ancora, «Lingue intangibili / si celano
incustodite nellerba». Il rapporto simbiotico luce/acqua
giunge sino allossimoro della «luna (...) rugiadosa»,
di p.23 (o ancora di «piangendo / qualche stella»,
p.29 e, in parte, di «il cielo / gronda», p.26), per
rivelarsi nei già citati testi di p.24 e di p.31 ma
anche col nuoto «nella piscina storica» di p.27 dove
la luce è richiamata dal «buio precoce». Una luce e
unacqua che sono ben più di un contorno anche nella
poesia di p.28, nella quale anche i richiami alla lingua
sono più di una semplice coincidenza. E così sin dal
lessico, metaforico o meno («parole magnetiche camaleonti»,
«accesa ad irretire», «analfabeta», «corso», «luce
impertinente», «sorsi di mente», «fiume», «luna piena»,
«molecola dacqua / fredda di mare», «oblio verbale»),
limpossibilità del dire. Quellimpossibilità che per
DAnnunzio, ad esempio, era la matrice della bellezza
(cfr. Sera fiesolana), mentre in Ruffato lo
è del dolore, come a p.29, dove ci parla del «nesso
/ doloroso uomo [acqua, vita, ndr] pensiero [luce]
verità [lingua]». Limpossibilità della conoscenza,
che il testo a p.19 ripropone, non nega però altra
soluzione, che è proprio quella di accettare lacqua
che, in quanto vita, ha in sé lemozione, vista come
salvezza (cfr. il testo a p.16: «Se puoi... / dai acqua
ai fiori intimi»). Infatti il poeta sostiene la relazione
vita/luce: «le rughe processionarie irritano / le rapide
emozioni», afferma riferendosi alle farfalle notturne,
e lemozione è necessaria alla comprensione: «sta vita
di riserbo / non mi basta per penetrarvi / e sapervi
ancora un poco». Non dunque riserbo, ma espansività.
E questa poesia, che inizia con un incontro mallarmeano
(cfr. Brindisi) con i genitori (e non con i
poeti), attacca chi e cosa «consuma» la vita nellombra,
nel non essere, nella «meschinità» della scrittura,
proprio quando la fine, e la sua luce, è vicina.
Il richiamo acqua-vita,
luce-pensiero, lingua(o simili)-verità è anche meno
esplicito, come nella poesia di p.21 dove la correlazione
è espressa dalla rima torrente-lucente-non mente,
correlazione rinvigorita dal dono di quadrifogli che
la mamma Rosa fa al poeta e dalla cometa. Fortuna (quadrifoglio)
e guida (cometa) che sono di nuovo supporti del «ciao
amico», ossia dellaffetto come ancora di salvezza.
La poesia, in tutto
questo, è dunque contenente, come la vita: «riflesso
/ di rime che avvolge in sé / la psiche del cielo»
(p.25), ossia il mistero. Ma «al riflesso di rime»
parlano lamore («cuorefreccia») e le emozioni («gote
/ coralline infantili»), queste «voci rubate della
cute», «leccelso / affetto» (p.26) che cresce nel
distacco, nellassenza, quindi nel non essere e in
una vana e titanica attesa che delimita appunto la
vita, in una radice filosofica e anche o piuttosto
psicologica che richiama lermetismo. Certamente la
forma di Ruffato non è ellittica come nellermetismo,
Ruffato non toglie dal suo dettato per creare atmosfere
analogiche polisemiche, anzi rappresenta tematiche
universali nel quotidiano e quindi nutre di significato
ogni connotato, senza tuttavia rinunciare allunità
semantica: chiamo tutto questo procedimento analogico
sinsemico. Lermetismo di Ruffato è nella sostanza,
nella coscienza dellindefinibilità e quindi nel proliferare
di dicotomie insolubili (qui luce e acqua, là terra
e acqua) ma strettamente connesse in modo paradigmatico.
È invece nella superficie la differenza, tanto sulla
«cute» che testimonia emozioni quanto nello sviluppo
sintattico che ha restituito alla poesia simbolistica
una certa analiticità.
Cesare Ruffatos readings
of his own poetry in Edinburgh and Glasgow in January
2001 were an opportunity for many of those present
to discover a poet whose work was previously unknown
to them or perhaps known only in passing or in somewhat
fragmentary fashion. This encounter with the figure
of the poet himself served to sharpen our perception
of the very special qualities of his poetic voice,
a voice which has, over more than four decades, been
engaged in an unswervingly personal quest for authenticity
of expression.
Since 1960, Ruffato
(born in Padua in 1924) has published more than twenty
collections of verse, written both in standard Italian
and in Paduan dialect, though in both cases the language
of his poetry is highly idiosyncratic, full of cross-fertilization
across linguistic codes (including graftings from a
wide range of other languages). While he belongs to
the generation which came to be recognized poetically
in the neo-avantgarde movements of the 1960s, and although
he shares with the neoavanguardia a propensity
for linguistic and formal innovation and experimentation,
in fact his poetry remains highly individual in its
style and intensely personal in its subject-matter.
Above all, Ruffatos experimentalism is never conducted
merely for its own sake, it is never autoreferenziale,
but rather, as Niva Lorenzini writes, he is un poeta
rigorosamente fedele a se stesso.
Saccade (1999)
is a collection of untitled poems, arranged in five
sections, with many themes interweaving from one text
to another (and from one section to another) to form
a sort of poemetto (long poem) in which the
author reflects on his own persona in relation to a
world in environmental decay and against a background
of physical decline and the looming presence of death
and the void. And yet moments of inevitable negativity
and disenchantment are counterbalanced throughout by
a desire to somehow engage with the physical world
and above all with the peculiar energy of language
itself. The first section (Prove) gives a complex
exploration of the poetic self, portrayed as a «cigno
ironico», despite the weariness of old-age and the
recurring motifs of personal loss and grief (the poet
lost both his daughter and wife in the decade preceding
the publication of this book). The world with its «fatti
orridi / e disumani» is observed with the attentive
eye of the scientist, and at times the outlook seems
one of despair: «recito versetti e salmi prima / di
sfaldare in apatia spietata». But as against this there
is a strong sense that hidden mysteries lie just below
the surface («Lingue intangibili / si celano incustodite
nellerba
») and a clear belief that the search for
truth must involve the use of reason and thought (no
matter how painful a process this may be): «Nel sentiero
della notte pulsa il nesso / doloroso uomo pensiero
verità». The second section (Paramore) tends
if anything to emphasise even more the darker aspects
of the poets state of mind. And yet, even in the opening
text, the sense of the loss of love is balanced by
a tenacious attachment to loves «favola», as encapsulated
in the closing quotation from a Provencal love lyric.
But the background is one of darkness, with the recurrence
of words such as «vuoto» and «nulla» throughout this
section, until it closes on the memorable image of
a car and its contents, the paraphernalia of contemporary
technologized life, a vision of a kind of banal contemporary
Odyssey, «ricerca disperata di comfort / duna idea
di partenza continua».
It is in the third section
(Specchio infedele) that the theme of environmental
degradation comes to the fore, giving the collection
an urgent resonance with contemporary global concerns,
as the poet considers the question of «come e dove
abitare / la terra in etica armonia». Instead of harmony,
however, he gives a dystopian vision of the city («antracotica,
tisica» with a characteristic use of medical terminology),
of a civilization facing a new historic disaster («una
caporetto di polvere / cacosmìa e fumi patogeni»),
a crisis which also has clear civic and ethical implications
for our time.
The fourth and fifth
sections both focus on themes and images of physical
dysfunction. The depiction of a painful course of dental
treatment in Aureo restauro gives rise to an
extended series of meditations on the reality of corporeal
decline. The agony in the dentists chair (evoked with
rich elements of tonal and lexical irony) becomes a
grotesque metaphor for a far more general awareness
of loss and mortality. And yet the decline of the body
is countered by other strengths: «Almeno i denti della
mente sono / sublime risorsa della fantasia». Similarly
in the final section Fantasia dellanima, centred
on the figure of a blind man, an intense awareness
of corporeal limitations is offset by the presence
of other forms of perception, by «i centocchi interni»
and their intuitive deciphering of the world. In these
closing sections the strong physicality found in much
of Ruffatos work comes into the foreground, in part
through the conspicuous use of imagery and terminology
of a medical and technical nature (a linguistic register
which reflects the poets professional career in radiology),
intermingled with other registers and images more readily
associated with the lyric genre and its traditional
concerns with emotional or spiritual interiority.
Cesare Ruffatos poetry
is not in any sense easy: it demands a level of participation
and active engagement on the part of the reader which
must seek to mirror the rigorous personal and artistic
impegno of the poet himself. His is a complex
and at times uncomfortable poetic vision, in which
a key component is the deliberate and even violent
intermingling of lexical registers and disparate fields
of imagery. His exploration of the ineluctable physicality
of existence is balanced by a constant awareness of
lifes hidden, mysterious energies, energies which
may appear spasmodically, par saccades (the
French title means a brusque, irregular movement).
The result is a poetic text full of a sense of anguished
uncertainty, but also of freshness and wonder at the
unpredictable phenomena of the world.
1 Padova, Rebellato, 1960.
2 Manni, Lecce, 1996.
3 Marsilio, Venezia, 1998.
4 La nave per Atene,
Milano, Scheiwiller, 1962; Il vanitoso pianeta,
Caltanisetta-Roma, Salvatore Sciascia, 1965.
5 La nave per Atene,
cit. Ora anche in Cesare Ruffato, Poesie scelte
/ Poesias escolhidas, Rimini, Panozzo Editore,
1997, p.8.
6 Stefano Verdino, Interrogazione
al linguaggio, in Poetica di Cesare Ruffato,
Quaderno n.5 supplemento a «Testuale», nn.23-24, 1997/1998,
p.132.
7 Rebellato, Padova, 1969.
8 Francesco Muzzioli, La
poesia di Cesare Ruffato, con un saggio di Daniela
Forni sulla bibliografia critica, Ravenna, Longo, 1998,
p.33.
9 Cuorema, cit.,
p.5.
10 Ivi, p.7.
11 Ivi, p.29.
12 Feltrinelli, Milano,
1978.
13 Cfr. a questo proposito
quanto osserva Francesco Muzzioli nella sua monografia,
La poesia di Cesare Ruffato, cit., alle pagine
47-48, mettendo in relazione il minore con linfanzia,
con «quei caratteri di contrasto verso letà adulta
e la sua serietà e integrazione sociale».
14 Cesare Ruffato, Minisgrafie,
cit., sezione Vetrino, pp.97-98.
15 Aldo Rossi, Prefazione
a Minusgrafie, cit., p.7.
16 Ernestina Pellegrini,
Sulla poesia di Cesare Ruffato, «Otto/Novecento,
nn.3-4, maggio-agosto 1993, p.165.
17 Marsilio, Venezia, 1983.
18 Francesco Muzzioli,
La poetica di Cesare Ruffato, cit., p.60.
19 Biblioteca Cominiana,
Padova, 1990.
20 Panda, Padova, 1988.
Padova diletta e Prima durante dopo,
Marsilio, Venezia, 1989 sono due libri diversi tra
loro, ma legati ad un vissuto personale di estrema
importanza: in primo luogo, la città natale che incarna
«una geolinguistica degli affetti e della ragione»
(Luciano Caniato, Locchio midriatico. L«interpoesia»
di Cesare Ruffato da Parola bambola a Diaboleria,
Longo, Ravenna, 1995, p.19), percorsa con sguardo dolente
e capacità di denuncia dei suoi recenti guasti; in
secondo luogo, la scomparsa tragica della figlia Francesca,
cui dedica una raccolta che è un dialogo tra le voci
di padre e figlia, poiché comprende anche testi di
Francesca disposti in alternanza a quelli paterni e
suddivisi a scansione del tempo, degli eventi irrevocabili
dellesistenza di Francesca. Sebbene distanti dalla
sperimentazione ardua e deformante di Minusgrafie,
entrambe queste raccolte che tornano ad esperienze
indignanti e/o laceranti paiono sostenute da una notevolissima
asciuttezza, da una forte consapevolezza morale personale
e da una altrettanto salda consapevolezza dello strumento
letterario, della scrittura poetica che raggiunge momenti
di grande altezza senza ricadere nel compiacimento
lirico.
21 Francesco Muzzioli,
La poesia di Cesare Ruffato, cit., p.74.
22 Ho citato stralci di
unintervista a Cesare Ruffato ora in via di pubblicazione
gentilmente fattami pervenire dal poeta stesso.
23 Andrea Zanzotto, Una
esperienza in comune nel dialetto, «In forma di
parole», Cinque poeti in dialetto veneto, n.3,
luglio-settembre 1998, p.21.
24 Longo, Ravenna, 1993;
le citazioni seguenti sono da p.17. Naturalmente la
raccolta è compresa ora anche in Scribendi licentia,
cit.
25 Cfr. a questo proposito
lIntroduzione al volume di Luciana Borsetto.
26 Cesare Ruffato, Etica
declive, Manni, Lecce, 1996, p.65.
27 I nodi della luce,
in Etica declive, cit., p.31.
28 Cfr. a questo proposito
il saggio bibliografico di Daniela Forni nella citata
monografia di Francesco Muzzioli. Inoltre, al termine
della bibliografia riportata in calce al volume compare
anche lannuncio dei due numeri monografici in preparazione
che le riviste «Steve» e «Testuale» hanno poi di fatto
dedicato a Ruffato, ed ai quali, anche, intendo qui
espressamente riferirmi: Steve per Ruffato,
supplemento a «Steve», n.15, dicembre 1997; Poetica
di Cesare Ruffato, Quaderno n.5 supplemento a «Testuale»,
cit.
29 Vincenzo Bagnoli, Litaliano
dopo il dialetto: la novità di Etica declive, in
Quaderno n.5 supplemento a «Testuale», cit., p.15.
30 La medicina in Roma
antica. Il Liber medicinalis di Quinto Sereno
Sammonico, a cura e con traduzione di Cesare Ruffato,
Torino, Utet, 1996.
31 Mania, in Etica
declive, cit. p.63.
32 Gio Ferri, La crisi
come resistenza, «La battana», n.3 (monografico
dedicato a Ruffato), 1997, p.68.
33 Parole lunatiche,
in Etica declive, cit., pp.50-51.
34 Per riprendere Nencioni:
«Parlato-parlato, parlato-scritto, parlato-recitato»,
Strumenti critici 29, 1976. Rist. in G.Nencioni,
Di scritto e di parlato, Zanichelli, Bologna,
1983.
35 M.Lenti, «Cesare Ruffato:
la parola e il labirinto», Studi novecenteschi
XXIV, 1997, p.9, cita Folena, «Lessico e stile della
poesia di C.Ruffato», Studi novecenteschi XIX,
1992: «sono verbi di marca dantesca».
36 L. Wittgenstein, Tractatus
logico-Philosophicus, Routledge & Kegan Paul, Londra,
1922 (trad. it. con testo a fronte a cura di A.G.Conte:
Tractatus logico-Philosophicus, Einaudi, Torino
1996, Prop.7.
37 C. Ruffato, «Il cantico
del silenzio», in AA.VV., Il silenzio, Edizioni
del laboratorio, Modena, 1996, p.119.
38 Neste verso, o emprego
da pontuação (muito mais contido em italiano do que
em português), levou-me a atribuir a un termo polissêmico
como pertica (vara, bater, medir) só a
função verbal. Estabelecido que perticare correspondia
a medir, a este verbo preferi mensurar, para recuperar
em parte o sabor antigo do termo italiano.
39 Recidere pode
ser traduzido por cortar ou talhar: escolhi o primeiro
verbo porque dá mais a idéia de algo que é quebrado,
interrompido. Mas corta era mais curto do que
recide. Como este verso em italiano é mais longo
do que em português, substitui corta com dá um corte.
40 Sprovvedute em
português pode corresponder a desprovidas e desprevenidas.
Escolhida a segunda solução, desta passei para surpreendidas,
para dar a idéia das folhas apanhadas de surpresa pela
queda.
41 Foi difícil encontrar
um termo que correspondesse a lucore (9° verso).
Optei por luz, preferindo traduzir luce
por luzir, também pelo brilho implícito no
luzir da tinta.
42 Para manter o jogo de
palavras subentendido entre pena infinita (pena
infinda) e pena sfinita (pena esgotada) em
italiano, traduzi sfinita por finda.
43 Pela opção feita, foi
possível manter o substantivo realidade (mais longo,
mas mais concreto do que real) e encontrar em português
também uma estrutura de três sílabas para traduzir
sparire (desaparecer): que se esvai.
44 Como, em português,
a 1ª e a 3ª pessoa do singular do verbo ser são idênticas,
fui obrigada a expressar o sujeito, por isso e eu
substitui era um: esta solução permitiu manter o
ritmo do verso.
45 Pela seqüência espelho
especial escancarado, tentei recuperar
a aliteração de specchio speciale
spalancato.
46 Para manter a rima interna
(festa ridesta), traduzi della
(da) por desta: desta festa.
47 Como sedutora e encantadora,
para maliosa, não convenceram, pensei em adjetivos
come fascinante e cativante, mas acabei optando
por uma reduzida de adjetivo que cativa, para não
criar um eco entre cativante e provocante que não
existe em italiano.
48 As palavras italianas
candela e vela correspondem, no nosso
uso comum, a vela. Para evitar confusão, preferi
traduzir candela por candeia, termo de sabor mais
arcaico, tão a gosto de um autor como Ruffato.
49 Frantumare corresponde
mais a estilhaçar, despedaçar do que a fragmentar,
que, porém, preferi, por estar foneticamente mais próximo
do original.
50 Em italiano, apesar
do enjambement, não há nenhuma dúvida quanto
ao significado dos dois últimos versos desta poesia.
Em português, o fato de cílios ser de gênero masculino,
como precipícios, permitiu-me criar um daqueles adiamentos
do significado total, tão caros a Ruffato: Teus cílios
fragmentam os meus [cílios] ou Teus cílios fragmentam
os meus precipícios? Só ao completar a leitura, percebe-se
que, na verdade, houve uma suspensão do significado.
O emprego do artigo os antes do possessivo meus
(facultativo, em nossa língua) reforça a ambigüidade.
Interpretei, brincando com uma das características
de Cesare Ruffato, mas sem trair, creio eu, nem o estilo,
nem o espírito do autor.
51 Incendeiam em
vez de acendem ou iluminam: além de ter o mesmo
número de sílabas de accendono, reforça a intensidade
do vermelho da água púrpura.
52 Pensamento para pensiero
era longo demais. Preferi pensar, ao perceber que,
em português, todos os versos desta poesia resultaram
mais curtos, e pareceu-me importante respeitar o ritmo
da língua de chegada.
53 Del vissuto corresponde
a do que foi vivido e, para respeitar o número de
sílabas, preferi a forma do que vivi, que me levou
a personalizar o que em italiano podia ser impessoal.
No caso de sfaldare, também, mantive a forma
pessoal, ao optar por me partir. Isso se justifica
porque, no 11° verso (anterior aos que estou analisando),
o eu está claramente expresso em consulto,
nas duas línguas. Ademais, a escolha de parti-se
por sfaldare foi ditada também pela tentativa
de manter, pela repetição da sílaba pa em partir
e paz, a aliteração presente em quiete
spietata.
54 É uma das raras vezes
em que aparecem rimas nas poesias de Ruffato, por isso
pareceu-me indispensável respeitá-las. Mas, se em italiano
fiume rima com lume, em português rio
não rima com luz. Pensei, então, que perdere il
lume [della ragione] (enlouquecer, não
raciocinar bem) podia corresponder a perder o fio
[da meada], o que não alteraria muito o significado
e permitiria manter a rima.
55 Gio Ferri, La poesia
di Cesare Ruffato. Letture diverse e misure comuni,
Testuale, 23-24, 1997/98, Quaderno n.5., pp.6-11
(p.8).
56 Michele Prandi, Reticenti
peripezie di senso: un poeta del silenzio, Testuale,
cit., pp.111-120 (p.115). Il concetto viene ribadito
dallo stesso Prandi nel suo intervento su questo numero
di Hebenon.
57 C. Ruffato, dallintervista
a Unità-Mattina del 28 giugno 1997, riportato da
Laura Detti, Lambiguità delle parole «è» nelle cose,
in Testuale, cit., pp.50-51 (p.50).
58 C. Ruffato, Etica
declive, con presentazione di Romano Luperini,
Piero Manni, Lecce, 1996. Di Ruffato consiglio, almeno,
il recentissimo Scribendi licentia, Marsilio,
Venezia, 1998, che raccoglie quasi tutta la sua produzione
in volgare padovano.
59 Giustificato probabilmente
dallo stesso andamento decostruttivo di Ruffato,
almeno sino ad Etica declive (cfr. Franco Pignatti,
Dal Liber medicinalis a Etica declive, in
Testuale, cit., pp.102-110).
60 V. Bagnoli, Litaliano
dopo il dialetto: le novità di Etica declive,
in Testuale, cit., pp.12-18 (p.12). Bagnoli,
riflettendo sulla poesia di Ruffato, parla di costruzione
di uno sguardo al margine che accompagna affiancando
il lettore più che guidarlo [cors.mio]. Affiancare
più che guidare il lettore è il danno minore che la
critica, per natura declive, cioè ideologica, può
commettere. Questo affiancare rappresenta lo sforzo
del critico a resistere contro limpossibilità di pulizia
ideologica.
61 A. Prete, Sulla poesia
di Ruffato. Due margini, in Testuale, cit.,
pp.121-123.
62 Soprattutto di una certa
indisponente avanguardia che, rifiutando tutto quanto
non è linguisticamente sfilacciato, dà luogo a fenomeni
di apoesia, ossia di operazioni meramente tecniche
che non hanno della scienza il procedimento induttivo
storicamente attivo.
63 Soprattutto di una lirica
superficialmente romantica che, nel belletto sonoro
e armonico, smarrisce il contatto con le contraddizioni
della realtà e con ogni operazione pur titanicamente
gnoseologica.
64 Cfr. C. Ruffato, dallintervista
a Unità-Mattina, cit.
65 Gio Ferri, La poesia
di Cesare Ruffato
, cit., p.10.
66 Dallintervista Morandini/Ruffato
sul Messaggero Veneto del 28 febbraio 1993, poi su
Campi immaginabili, III-1993/I-1994, passo riportato
da Vittoriano Esposito, Appunti per un profilo critico
di Cesare Ruffato, Testuale, cit., pp.52-55
(p.53).
67 Luso della parola
«etica» è indicativo. Ciò che è andato perso non è
il senso, in quanto significato, delle parole, ma ciò
che le rende necessarie, ciò che le rende, potremmo
dire, «etiche» (L. Detti, Lambiguità delle parole
,
cit., p.50).
68 Di Ruffato simbolista
ho parlato in La legge poetica del caos. Liricità
e simbolismo in Ruffato, I quaderni di Hebenon,
aprile 2000
69 Su la vergogna, o meglio
sullemozione a cui essa appartiene, tornerò più avanti.
70 See Niva Lorenzini,
Scribendi licentia, poema vocale, in Cesare Ruffato:
La poesia in dialetto e in lingua, a cura di B.
Bartolomeo e S. Chemotti (Pisa-Roma: Istituti Editoriali
e Poligrafici Internazionali, 2001), pp.97-102 (p.97).
A range of critical readings on Saccade can
be found in Letture critiche su Cesare Ruffato,
Quaderni di Hebenon 2, Supplement to Hebenon: Rivista
internazionale di letteratura (n. 5, aprile 2000).
On Ruffatos earlier work, see especially Francesco
Muzzioli, La poesia di Cesare Ruffato, con un
saggio di D. Forni (Ravenna: Longo, 1998).