Francesco Muzzioli su Francesco Muzzioli su
NADIA CAVALERA, Salentudine
Marsilio 2004Dopo aver praticato, nellambito del suo progetto sperimentale e davanguardia, varie forme e travestimenti, giocando anche su ironici eteronomi stranieri, Nadia Cavalera reinventa se stessa adesso, con Salentudine, nelle vesti della poetessa dialettale. È lulteriore prova che la funzione dialetto costituisce una direzione ragguardevole della ricerca attuale, ma pure la conferma che tale direzione costituisce tuttaltro che un semplice e ingenuo ritorno alle origini. Se, infatti, il dialetto utilizzato è proprio quello di provenienza dellautrice (di Galatone, in Puglia) per niente scontato è, invece, il genere poetico in cui è utilizzato, che è il limerick, strofa giocosa di ascendenza irlandese, totalmente estranea alla tradizione italiana. Da questo accoppiamento inusitato nasce un cortocircuito estremamente stimolante.
In primo luogo, il dialetto porta in dote una carica sonora e un espressivismo, per così dire, congeniti. Se Nadia Cavalera, nei suoi testi precedenti, ci aveva abituato alle catene delle allitterazioni e delle paronomasie a raffica, adesso può formulare, attraverso le tonalità del suo dialetto ribattute nelle rime esterne e interne, una musica stralunata e stridente. Particolarmente vivace è linserimento del lessico grottesco delle parole lunghe, di quattro sillabe e oltre, che si trovano preferibilmente nellultimo verso del limerick, dove servono per altro da aggiunta e allungamento nella ripetizione del verso iniziale, voluta dalla regola del genere. Si possono inventariare via via degli aggettivi ben curiosi, come «bbintulisciatu» (ventilato), «runciddata» (rattrappita), «mbirdicutu» (sporco), «bbisinchiata» (trascolorata), «scarrampulatore» (dimpervi luoghi). E aggiungerei due termini alquanto onomatopeici, che si trovano in versi contigui di uno stesso limerick: «struncunisciata» (malmessa) e «scancalimbitava» (sintrometteva); il cui soggetto, se lo si vuole sapere, è una curiosa «buttana» di Tuglie.
Il dialetto come linguaggio nativo e quindi come lingua del corpo e delle pulsioni elementari agisce anche qui a portare verso il basso la tematica della poesia, circolandovi, insieme ai moti del ballo e a infantilismi irriverenti, questioni di sesso, di cibo o di bevuta. E venendo a ribaltarsi inopinatamente i livelli elevati e sacrali: come nei casi eclatanti del santo di Copertino che regala in premio mandarini ai tipi più violenti; o della fata di Cutrofiano che si carrucola in un cesso; o ancora, addirittura, del verme di Salice che si nasconde sacrilegamente nei santi sacramenti del calice e dellostia fino alla «santa rioluzzione», incendiaria e anti-istituzionale di una quaresima di Sannicola. Nessun Valore con la maiuscola può starsene al sicuro, come del resto nessun Senso con la maiuscola va avanti fino alla fine. Leffetto che comunicano questi testi, infatti, sta tutto come dicevo, in una sorta di scarica elettrica: mentre il dialetto porta con sé lo spirito popolare e laffettuoso avvertimento della stramberia, dal canto suo il non-sense sconvolge il contesto e viola qualsiasi configurarsi di un ambiente familiare. Mentre il dialetto contribuirebbe a naturalizzare la scena, il non-sense provvede a modernizzare (e può accadere allora, come al personaggio di Alessano, di passare dal pianto al riso mediante opportuna «spina» connessa ad apposita presa), a invertire gli ambiti della natura (luccello va a piedi e lo scorpione vola), compresa la resa innaturale delle forme più quotidiane (compaiono persino «oe quatrate», uova quadrate), allo sproporzionato e allossimorico (una «fòkara ddifridduta»: un falò freddo). Anche là dove la classica filastrocca è ripresa dalla tradizione, gli elementi citati si scambiano di posto e si ribaltano, tanto che è la civetta (qui «kukkuascia») a mettere il dottore sopra il comò.
Nadia Cavalera, inoltre, lavora ad estendere la funzione del soggetto. I protagonisti del limerick, infatti, non sono soltanto uomini e donne, nei loro ruoli familiari (mariti, mogli, figli) o arti e mestieri (la «buttana», il «piscarulu», il «furnaru», il «monacu»), ma anche animali e addirittura oggetti. È chiaro che, più si procede oltre lumano, e più le azioni e le parole dei personaggi diventano improbabili e inverosimili. Bestie antropomorfe compiono numerose incursioni e lasciano il segno di una istintività strabordante e di una presenza sconveniente: vedi il ciuco di Bagnolo «ca sulu sulu si sculava nu litru ti barolu»; oppure la formica di Zollino che contraddice alle normali proporzioni, essendo «erta comu nu pinu». Ma certamente la sorpresa è maggiore quando a compiere azioni umane sono vegetali (il carciofo), minerali (la pietra), o magari oggetti (la bilancia, lorologio, il coperchio). «Ncera na bbascula ti Castrignano ti lu Capu / ca riccugghìa muddècule cu nu tappu»: non solo la bilancia se ne va a spasso, sembra, ma è colta nel gesto incongruo di raccogliere briciole con un tappo! Ancora: «Ncera nu tampagnu ti Miscianu / ca lli lizziuni si istìa ti cappillanu»: ossia un coperchio che si presenta alle elezioni vestito da cappellano, irridendo così al trionfalismo politico e parodiando il conformismo religioso, solo per la potenza delle associazioni sonore.
Nadia Cavalera, in questi anni, ha tenuto vivo il discorso dellavanguardia e della polemica civile, soprattutto con i numeri della rivista Bollettario; anche questi suoi limerick, apparentemente giocosi, supportano una tendenza combattiva. Salentudine è un titolo che richiama la nostalgia delloriginario, ma la sua chiave è affatto ironica. Il ritorno alla propria terra è debitamente straniato da una forma che non centra per niente. Aggiungerei questa riflessione: se il limerick risulta oggi un genere apprezzato al di fuori della sua specifica tradizione, credo che il motivo stia nel suo legame con il luogo: la regola prevede cinque versi rimati e lidentificazione di un personaggio identificato soprattutto dal nome del paese da cui proviene. Tuttavia la localizzazione diventa la strada per giungere al lato opposto, quello dellaccostamento contraddittorio e improprio, e del salto nellinsensatezza. Ecco allora che, nei nostri tempi di localismo spinto e di nuovo campanilismo (in una parola, di rifeudalizzazione), il limerick torna buono a far cozzare insieme territorialità e assurdità. È proprio così in Salentudine, anzi, ancora di più: la scelta dialettale di Nadia Cavalera porta dritta verso le radici (e il libro, con la sua logistica, compone una mappa dettagliata della regione), mentre il genere straniero rende estraneo tutto soggetti e gesti, ruoli e proprietà, suoni e significati con lesito di una rappresentazione sempre tesa, sorprendente ed abnorme.