ODOARDO GIANSANTI (A.K.A. PASQUALON)
Mario Ferri
Odoardo Giansanti was born in Pesaro in 1852 and died in his city in 1932 at the age of eighty. He was a successful dialect poet while leading a miserable existence. After the death of his mother when he was a boy, he was soon abandoned by his father and stepmother. He became blind in 1880 and lame in one leg in 1881. Due to numerous bouts of depression he spent some time in the city's mental hospital (the San Benedetto, which he called "The Winter Palace"), where he becomes familiar with dialect poetry, and in 1880 began to write a great deal of dialect verses, impressive for their quantity, their intrinsic quality, and the success they encountered with the public.
From this point of view his poetic fortune, which culminated in the first prize at the dialect poetry contest at the Macerata Exposition of 1905, has never diminished, even after his death, witness the numerous editions of his works, from the leaflets handed out at fairs, to the volumes from 1887 to 1934, to the partial reprints after 1934, all sold out. His city never forgot him, either when he was alive, with several grants of money, or after his death, remembering him with exhibits, conferences and anniversary celebrations, and above all by dedicating to him the new theater, the Teatro Odoardo Giansanti. And two Pesaro publishers, Nobili and Pieraccini, sponsored a new critical edition of all the poems of Pasqualon in 1996.
Pasqualon (who inherited the name from one of his characters, a farmer of the Pesaro countryside around S. Angelo in Lizzola and Montelabbate), displays an enormous varieties of idioms: the urban, the portolotto, from the countryside, from Fano, Senigallia, Urbino, Romagna, the Venetian, the Romanesco, the Neapolitan, the Italian of the city gentleman, the Italian of the farmer, the Italian of the Venetian corporal and the Neapolitan brigadiere, and even macaronic Latin. It is apparent that Giansanti's poems are meant to be recited to the public at street corners, at fairs, in the taverns, in the kitchens and country stables. It is not the sort of poetry that is born at the writing desk and is then enjoyed in an arm chair. It has the voice of the town crier, the story teller, of the people who nod and laugh and listen with their mouths open. They listen to their own voice in the voice of the poet: a men of the people, but not illiterate and naive as some people have implied. His quotations, his language, his knowledge are much broader than a naif's experience.
His subject matter concerns the events of the day in his city, and the national and even international scene. He mentions fashion trends, technological progress, political movements, social themes, and extraordinary weather phenomena.
Giansanti's poetic output is enormous and consists of four hundred twenty-eight poems for a total of fifty-thousand verses. In this anthology we have included one of his most famous poems, "La vita del Rettore'" (the country priest). Written in 1886, it became immediately well known for its explosive and somewhat anti-clerical stance, causing the poet to spend four days in jail for having sung in public without a licence. On appeal, Giansanti was absolved for lack of evidence,1 and after a while he changed the ending of the poem, soft-pedaling the accusations against the priest's insensitivity.
The second poem included is "Abbasso i critici: poesia moderna," written in 1985, which shows Giansanti's virtuosity in alternating verses in Italian with verses in the Pesaro dialect.
Criticism
Aldo Pizzagalli, Un giullare del popolo, Edoardo Giansanti, Florence: Sansoni, 1944.
Poems translated by Luigi Bonaffini
Abbasso i critici: poesia moderna
1895
Signori gentilissimi
Sti giorne a jò impared
Che i versi miei vernacoli
I è poch desidered
Perché si stenta a leggere
Ste mi dialett bsares.
Non tutti lo capiscono
Parchè l'è mezz frances.
Così diceami un critico:
"Mo scriv in italien
Che tutti lo comprendono
E tè t' giriss più ben.
Declama il verso italico
Alora t' fa i baoch",
Ma un altro sussurravam
"T' sariss un papaloch.
Saresti tu per credere
Parland a us letered
Che tutti riderebbero
Listess cum pel passed?
Quel frizzi che movevano
Le fodre di giuben
E quei che spalancavano
Le bocch di cuntaden
Quei detti che fiutavansi
Da i nes intabached
Movean le vesti ai medici
Le togh ma i avoched
Seri versi insuperabili
Mo messi in italien
A branchi abbaierebbero
Listess cum bàia i chen"
In questa via trovandomi
Tramezi. a do martei
A l'un e a l'altro subito
Mè a cerch da contentei:
Cori un lavor reciproco.
Da matt già benintes.
Facendo un verso italico
Misted sa chei bsares.
Che la moderna logica
Ce dic. s'a i vlem gi dritt.
Servir convien due popoli
Magnè la papa e zitt,
Ma contro l'impossibile
Me a vagh in tun st'moment,
L'intruso insopportabile
Lavora più content
Tirando il suo gran mantice
Battend sal su martel
Farà una nuova critica:
Che roba dai scorcel!
Che schiavitù. che secolo!
S'i ved a bata un chiod
La sua tutti gli dicono.
Nisciun pò fè a su mod.
Rammenterò la favola
Ch' me ciciva ci porzi
E questa è molto analoga
De quel che me a v' voi dì.
C'era una volta un villico
Sal fiol mezz. incanted.
Avean con loro un asino
I giva in sei marched,
Siccome il vecchio rustico
El giovne più intontid
Tenean la bestia libera
E lori i giva a pid
Diversi che osservavano
Un quedre bel acsé
A tanta stupidaggine
I à cuminced a urlè:
"Che imbecilli uomini
Che raza d' papagall
Aver la bestia, o stupidi.
E d'en monte a cavall!"
Fra sé il vecchio barbottola:
I avria ragion, cle gent".
E subito si arrampica
Parsues da fei content.
Inforca il suo quadrupede
S' mett a cavall benben
E il figlio dietro andavagli
Tirand i sass ma i chen:
E fatto già un chilometro
I arsent 'n antre schiamazz.
Da altri che osservavano
Le gamb de chei ragazz
Che quasi si piegavano.
I à cuminced a urlè:
"O vecchio rincrescevole
Mo smonta gió da lè.
Non vedi il tuo unigenito
Ch'en pò caminè pió?",
E il vecchio giù in un attimo
Mal fiol fa monté só.
Lì a poco quattro uomini
Vedend ma st' ragazacc
Che tutto insuperbivasi
Sopra ste sumaracc
E il veglio trascinavasi
Sal su cappel sle men
Mostrando il crin suo candido
I emincia a lè un bachen
E contro il figlio scagliano
i colp e i accident.
E tutti gli ripetono!
"Mo eri t' ne vargogn pargnent
A un vecchio così debole
Fel vnì diditra a pid?
Non osi di soccorrerlo,
Brutt pezz dun invornid?"
costui fra le vertigini
L'era par smontè gió
Ma il padre disse: "Fermati!,
Stà bon. ch'a i stem tutt dó".
E tutti due tenendosi
Ben fort par en caschè.
Ma l'asino storcevasi
Ch'en vleva caminè.
E questi due trovandosi
Tramezz a tant question
Da orbi lo battevano
Ch'i à rott quatre baston:
A questo gran spettacolo
È curs na mucchia d'gent,
Se presto non scendevano
Succ'deva un mazzamcnt
Per quel paziente martire
Ch' 'n i pudeva portè:
"Abbasso!". in cor gridavano!
En c'era da scherzè.
Ma dopo poi che scesero
Tutt clori i s'è sparid
E il padre e il Figlio e l'asino
I è armast tutti tre a pid.
L'un l'altro poi guardandosi
Nisciun savea cum s'fè.
Montar più non osavano
E manca a caminè.
Il vecchio più bisbetico
Trovandose in tant imbroi
Legò le zampe all'asino
Par en trovè piu noi.
Poi mise una gran pertica
Travers ma l'animel.
A spalla lo portarono
Cum s'porta ma un agnel.
Ognun di voi s'immagini
Che arrivi in sel marched
Ragazzi e donne e uomini
I à fatt dle gran rised:
Quei disgraziati stettero
Fra i urle sin'a nott
Bersaglio di quei critici
Ch'i s'cred d'essa più dott.
Il caso mio è identico.
Mo quant a vegh le brutt
Lego le zampe al diavolo
Acsé a fagli méi de tutt.
A spalla poi portandolo
Insiem sa la ragion
Sospeso alla mia logica
Che quella è un gran baston.
E tutti i suoi malefici
Sa tutt i maldicent
Mi dicati pur cuticola
Mè enn ò paura d' gnent.
Abbasso dunque i critici
Abbass le sue lezion
Abbasso le pettegole
Evviva Pasqualon!
Abbasso i critici: poesia moderna. - Signori gentilissimi / questo giorno ho imparato / che i versi miei vernacoli / sono poco desiderati / perché si stenta a leggere / questo mio dialetto pesarese. / Non tutti lo capiscono / perché è, mezzo francese. / Così diceami un critico., "Ma scrivi in itahano che tutti lo comprendono / e tu andresti meglio, / declama il verso italico / allora sì fàrai i baiocchi"/ ma un altro sussurravami: / "Saresti un gran cretino, / saresti tu per credere / parlando ad uso di letteratì / che tutti riderebbero / così come per il passato? / Quei frizzi che movevano / le fodere dei giubbini / e quei che spalancavano / le bocche dei contadini / quei detti che fiudavansi dai nasi intabaccati / movean le vesti ai medici / le toghe agli avvocati / son versi insuperabili, / ma messi in italiano / a branchi abbaierebbero / come ahbajano i cani". / In questa via trovandomi / in niezzo a due martelli / l'un e a l'altro subito / io cerco di accontentarli / e on un lavor reciproco / da matti, beninteso!, / facendo un verso italico / mischiato a quello pesarese, / che la moderna logica / ci dice, sve vogliamo andar dritti, / servir convien due popoli / mangiar la pappa e zitti! / Ma contro l'impossibile / io vado in questo momento, /. l'intruso insopportabile / lavora più contento, / tirando il suo gran mantice / battendo col suo martello / farà una nuova critica. / che roba di ascia rozza! / Che schiavitù, che secolo! / Se vedono battere un chiodo / la sua tutti gli dicono, / nessuno può fare a modo suo.. / Rammenterò la favola / che mi diceva il povero zio / e questa è inollo analoga / a quello che voglio dire io. / C'era una volla un villico / con un figlio mezzo incantato / avean con loro un asino / andavano al mnercato, / siccome il vecchio rustico / il giovane ancor più tonto / tenean la bestia libera ed ambedue andavano a piedi / diversi che osservavano / un quadro / così ben fatto / a tanta stupidaggine / cominciarono a urlare: / "Che imbecilli uomini / che rozza di pappagalli, / aver la bestia, o stupidi, / e non montare a cavallol" / Fra sé il vecchio barbottola. / "Avrebbero ragione, quelle genti", / e subito si arrampica / persuavo di farli contenti, / inforca il suo quadrupede / si mette comodo a cavallo / e il figlio dietro andavagli / tirando i sassi ai cani / e fatto già un chilotnetro / sentono un altro schiamazzo / dla altri che osservavano, / le gambe, di quel ragazzo / che quasi si piegavano / hanno cominciato a urlare, / "O vecchio rincrescevole / ma smonta giù da lì, / non vedì il tuo unigenito / che non può camminare più?", /
e il vecchio giù in un attimo / fa montar su il figlio. / Lì a poco quattro uomini / vedendo questo ragazzotto / che tutto insuperbivasi / sopra quel somaraccio / e il veglio trascinavasi / col suo cappello in mano / mostrando il crin suo candido / ciminciano a fare un baccano / e contro il figlio scagliano / i colpi e gli accidenti, / e tutti gli ripetono: / "Ma non ti vergogni per niente / a un vecchio così debole / di farlo venir dietro a piedi? / Non osi di soccorrerlo, /brutto pezzo d'incantato?" / Costui fra le vertigini / stava già per smontare / ma il padre disse. "Fermati!, / sta buono che ci stiamo tutti e due", / e tutti e due tenendosi / ben forti per non cascare, / ma l'asino storcevasi , / che non voleva camminare / e questi due trovandosi / in mezzo a tanti discorsi / da orbi lo battevano / tanto che han rotto quattro bastoni; / a questo gran spettacolo / è corso un mucchio di gente, / se presto non scendevano / succedeva qualche ammazzamento / per quel paziente martire / che non riusciva a portarli: / "Abbasso!", in cor ,gridavano: / non c'era da scherzare. / Ma dopo poi che scesero / tutti sono spariti / e il padre e il figlio e l'asino / sono rimasti tutti e tre a piedi, / l'un l'altro poi guardandosi / nessuno sapeva cosa fare, / montar più non osavano / e nemmeno camiminare. / Il vecchio più bisbetico / trovandosi in tanto imbroglio / legò le zampe all'asino / per non trovar più noie, / poi mise una gran pertica / in mezzo all'animale, / a spalla lo portarono / come si porta un agnello. / Ognun di voi s'immagini / che giunti al mercato / ragazzi e donne e uomini / hanno fatto delle gran risate; / quei disgraziati stettero / fra gli urli fino a notte / bersaglio di quei critici / che si credevano più dotti. / Il caso mio è identico, / ma quando vedo la mal paralta / lego le zampe al diavolo / così faccio meglio dli tutti, / a spalla poi portandolo / insieme con la ragione / sospeso alla mia logica / che quella è un gran bastone, / e tutti i suoi malefici / con tutti i maldicenti / mi dican pur cuticola / io non ho paura di niente. / Abbasso dunque i critici / abbasso le loro lezioni / abbasso le pettegole / evviva Pasqualone!
Down with the Critics: a Modern Poem
My most distinguished gentlemen
Recently I have found
That my dialectal verses
Are far from being renowned
Because Pesaro's dialect
Can mistify too easily
Given its half-French sound.
One critic said to me:
"Why don't you use Italian
In which all can converse
And it will go much better,
Declaim the Italic verse
And then you'll make some dough."
One gave me this advice:
"You'd really be a dimwit,
But how can you surmise
By showing you are lettered
The everyone would chuckle
As they once used to do?
Those jibes that could unbuckle
The linings of the jackets
And those that put a grin
On all the farmers's lips
Those quips that would have been
Sniffed through tobaccoed noses
Could shake a doctor's coat
And an attorney's robe
They're verses of great note,
But put into Italian
They would bark like mean
Packs of snarling dogs."
Finding myself between
A rock and a hard place
Immediately I sought
To satisfy them both:
With reciprocity hardbought,
Crazy, you understand,
Writing Italic rhyme
Mixed in with Pesarese,
Since logic in our time
Says you must toe the line,
Better to serve two masters
Swallow your pap, and mum,
But it can be a disaster
To have to face the impossible,
The intolerable trespasser
Works more contented now:
Striking with his hammer
Blowing his mighty bellows
Writes a new commentary:
What a rough ax this is!
What slavery, what century!
They'll pitch in their two cents
If they see you hit a nail
You can't do what you please.
I will recall the tale
Told me by my late uncle
Which I think will convey
Just what I want to say.
There was a farmer once
With a son, a half-wit,
They had with them an ass
On their way to market,
Since the aged rustic
And his more mindless son
Had let the animal loose
While they walked in the sun
Several who observed
This very charming scene
Seeing such perfect idiocy
Began to intervene:
"What stupid men are you
As brainless as a parrot
To have an ass, you morons,
And then choose not to ride it!"
"The old man starts to mumble:
"Those people may be right,"
And in a flash he climbs,
Convinced of their delight,
Astride his quadruped
He sits snug on the ass
And his son right behind him
Throws stones to dogs that pass.
After they went a mile
He hears another row
Of other people watching
His boy's legs start to bow,
Almost bending over,
And they began to yell:
"Despicable old man
Get down from there a spell,
Dont'you see your offspring
Looks like he feels half dead?".
So down came the old man,
And up his son instead.
After a while four men
Seeing the young rascal
So very smug and cocky
Astride that wretched animal
And the old farmer plodding
With his hat in hand
Showing his hoary head
They start a saraband
And hurl at the son's face
Profanities and blame,
And everyone repeats:
"Don't you have any shame
To let a feeble oldster
Walk after you in pain?
Why don't you try to help him,
You witless featherbrain?".
The boy was feeling dizzy
And ready to alight
But his father said: "Stop!,
Don't move, we'll both squeeze tight".
They held on to each other
In order not to fall,
But the ass began to fidget
And didn't want to move at all..
Those two, finding themselves
Amid so many critics,
Beat the hell out of him
And broke four walking sticks.
A lot of people ran
To look at this wild scene.
If they didn't come down soon
It would certainly mean
The end for that poor martyr
Who could not bear their weight.
"Down!" they yelled in unison,
And didn't intend to wait.
But after they got down
Everyone left the place
And father son and ass
Were left on foot to gaze
Baffled at each other,
Looking really hardput
They dared not climb again,
But neither go on foot.
The crotchety old man
Facing such a predicament
He tied the donkey's legs
Just to avoid an argument,
Then got a sturdy pole
To hold aloft the beast.
They bore him on their shoulders
Like a lamb at a feast.
You all can guess that when
they reached the market place
Kids and men and women
Laughed loudly int heir face.
The two poor farmers stayed
Till nightfall mid those cries
Target of those critics
They believed more wise.
My case is really identical,
But when it's a tough matter
I tie the devil's paws,
So I do far better,
To carry him on my shoulder
Side by side with reason
Suspended on my logic
Which is a mighty weapon,
And all his evil doings
With all of the badmouthing
Can say what they will say
I am afraid of nothing.
So down with all the critics
Down with their baloney
Down with busybodies
An long live Pasqualone!