UMBERTO MIGLIORISI, Farfalli e scintilli, Utopia
Edizioni, Chiaramonte Gulfi 1999, pp. 62.
Alcune poesie della raccolta Farfalli e scintilli
sono apparse proprio su questa rivista, nel n. 17/18
del 1998.
Con le altre liriche finora inedite si ha un volume
compatto per i temi e per ladesione alla parlata
o sottodialetto di Ragusa.
E una riflessione sulla morte e sullanima, attraverso
vari aspetti, la tradizionale festa del 2 novembre,
la visita alla tomba dei genitori, la lunga notte della
veglia, lo scomparire delle stagioni.
Lironia e lintonazione spesso cantilenante dei versi
cercano di esorcizzare la Signora in nero.
Lo sguardo sulla realtà porta segnali funesti, le depressioni
e i malesseri delletà incombono, la memoria ripropone
tristi ricordi,il degrado ambientale ha distrutto i
luoghi magici di un tempo, lindifferenza ha sostituito
i sentimenti che una volta univano gli uomini.
Nessuno si accorge di
na stidha luntana / ca saddhuma
e ssi stuta / cumu na lamparina, una stella, na
spranza bballarina, effimera e la vita rimane bbuttana.
COSMA SIANI, Lio diviso. Joseph Tusiani fra emigrazione
e letteratura, Cofine, Roma 1999,
pp. 95.
Two Languages, Two Lands - Lopera letteraria
di Joseph Tusiani a cura di Cosma Siani, Quaderni del
Sud, San Marco in Lamis 2000, pp. 183.
In 4 lingue.Antologia di Joseph Tusiani, a cura
di Cosma Siani, Cofine, Roma 2001, pp. 60.
Two Languages, Two Lands riunisce in volume
gli atti di un convegno di studi dedicato allopera
letteraria di Joseph Tusiani.
Le relazioni e i contributi ricostruiscono le esperienze
esistenziali, lincidenza del tema autobiografico dellemigrazione,
per poi analizzare la poliedrica attività letteraria,
dalle molte traduzioni dei classici italiani in inglese,
dai romanzi alle poesie in latino, italiano, dialetto
e inglese.
Questo volume e il libro di Cosma Siani, Lio diviso.
Joseph Tusiani fra emigrazione e letteratura, edito
da Cofine nel 1999, sono supporti critici fondamentali,
e necessari per rileggere Tusiani o per iniziare la
scoperta di unopera che, per passione civile e morale,
e per valenze espressive, si colloca in una tradizione
colta.
Cosma Siani, che organizzò nel 1999 il Convegno a San
Marco in Lamis, il paese garganico dorigine del poeta,
è il curatore degli atti e lautore della dettagliata
bibliografia che conclude il volume.
Il dialetto è per Tusiani un ritorno alle origini più
arcaiche, una ricerca didentità anche culturale. Scrive
Siani nella postfazione ai canti in dialetto garganico
di Na vota è mpise Cola (Quaderni del Sud,
1997), che seguono il poemetto eroicomico di ascendenza
boraziana La poceide (Quaderni del Sud, 1996):
la produzione dialettale in Tusiani (
) cerca i simboli
del proprio essere, lesperimento verbale, il frammento.
Alla ricerca delle radici in Gargano, Tusiani scopre
che tutta una rete di riferimenti ai canoni ricevuti,
al proprio passato lavoro, alla propria vita si presta
ad essere trasposta nella lingua dellinfanzia.
Si ha dunque unanalisi critica complessiva di tutte
le opere italiane e straniere di Tusiani, e si segue
il suo iter biografico, un ritratto preciso che culmina
in unintervista allo stesso autore, svolta in dodici
domande da Carmen Scarpati.
Tusiani ci tiene a ricordare il suo impegno nell avere
usato una lingua nuova per essere accettato come scrittore
americano. Ricorda i tanti ostacoli incontrati nel
superare il conflitto di culture.
Con giusto orgoglio parla delle sue traduzioni di sette
secoli di poesia italiana, un lavoro che ha contribuito
a diffondere la civiltà italiana negli Stati Uniti.
Si aggiunge , ultimo in ordine cronologico, un altro
volume, unantologia di Joseph Tusiani, dal titolo
In 4 lingue, sempre a cura di Cosma Siani, edita
da Cofine nel 2001.
Lintento del curatore è quello di proporre alcuni esempi
della sterminata e multiforme, nonché unitaria, opera
di Tusiani.
Si ha così una prima sezione di testi poetici inglesi,
lingua in cui, come scrive Siani, Tusiani afferma
il suo modo più convincente.
Seguono le poesie latine dove si ritrovano i temi dominanti
della sua poetica, l evocazione della terra dorigine
trasfigurata a simbolo, linterrogarsi sulla propria
identità, la meditazione sul passare del tempo, lappressarsi
della morte, la propria vicenda famigliare
.
Vi sono poi le sezioni in italiano, con poesie e prose
etniche centrate sulle vicende migratorie e sulla
doppia identità italo - americana.
Le poesie in dialetto garganico sono un recupero di
una lingua considerata vitale, un tassello memoriale
che illumina la propria identità.
La traduzione di una poesia italiana in inglese e un
breve saggio ricordano le altre attività letterarie
di Tusiani.
In appendice si ritrova la cronologia della vita e la
bibliografia essenziale.
IDA VALLERUGO, Figuræ, Circolo Culturale di Meduno,
Meduno 2001, pp.59.
Nella presentazione Francesca Cadel osserva che i luoghi
e gli incontri di Figuræ sono ormai le storie
del percorso esistenziale, senza alcun filtro, di Ida
Vallerugo e coglie lelemento più originale nel doppio
registro utilizzato: di saga familiare - ancora collegata
alla prima raccolta in friulano Maa Onda del
1997 - e di trasposizione simbolico-mitica del racconto.
Nelle poesie della Vallerugo si fondono e confondono
armonie e disarmonie, gridi e silenzi, apparenze e
realtà.
E come se il tempo rimanesse sospeso nella improvvisa
scintilla del verso.
Così nel Coro per gli sposi i trovatori risuscitano
dopo secoli nelle loro terre per cantare lamour gentîl
in chê lenga muârta provenzâl furlana.
Nell Antro le parvenze dellesistere si incontrano
con le ombre dei morti.
RAFFAELE BALDINI, Zitti tutti!, Centro Teatro,
Fano 1998, pp. 50.
RAFFAELE BALDINI, In fondo a destra, Centro Teatro,
Fano 2000, pp. 78.
Con il progetto di un laboratorio di scrittura dalla
pagina al palcoscenico, nasce limpegno
dei Teatri di Ravenna e Fano con due fra i maggiori
poeti in dialetto, Raffaele Baldini e Gabriele Ghiandoni.
Zitti tutti!, scritto da Baldini nel dialetto
di Santarcangelo e tradotto da Ghiandoni in fanese,
è stato rappresentato nella stagione 1993-94 da Ravenna
Teatro e dal TSR Teatro Stabile in Rete di Fano.
In fondo a destra, scritto da Baldini in italiano
e tradotto da Ghiandoni nel dialetto fanese, è stato
rappresentato nel dicembre del 2000 al Teatro della
Fortuna di Fano.
I due testi, che sono due monologhi, si leggono nelle
belle edizioni del Centro Teatro.
Nel primo monologo il protagonista, dopo aver riflettuto
e constatato il proprio dramma esistenziale, spara
contro lo specchio, per un suicidio virtuale dellIo
il segno della suprema sconfitta, come osserva Ghiandoni
nella prefazione.
Il protagonista del secondo monologo si dichiara diverso
dagli altri per il suo stile di vita, è consapevole
che il pensare è tutto e il resto è volgarità. Forse
per colpa del destino, si ritrova con gli altri dentro
un misterioso e allucinante labirinto, senza regole
e codici, dove ironia e autoironia non consentono distacchi,
un labirinto che potrebbe essere un supermercato, un
sotterraneo della storia, un monumento alla libertà,
non un luogo ma uno stato danimo, una terra di nessuno
dopo la morte, la vita stessa. Metafora dellimpossibilità
di conoscenza e dellassurdità dellesistere.
GIAN PAOLO LAVELLI, Farfall da vita, Società
darti grafiche, Lugano 2001, pp. 75.
Nella prefazione Fernando Grignola sottolinea la differenza
di stile e contenuti fra la prima sezione, Nobile
amarezza, con laspetto inedito di poesie scaturite
dalla rabbia e dalla rivolta contro i soprusi, e la
seconda parte, Vöia da merenda, con poesie scritte
con la pace nel cuore.
Le farfall da vita, di queste poesie scritte nel dialetto
di Giubiasco, sono le impressioni, le sensazioni che
danno meraviglia e consolazione.
Purtroppo le farfalle vanno scomparendo da un mondo
che è diventato na bestia grama vomitante mort,
disgrazi, velén e ledamm, da una società dove la gente
ha attaccato lanima a un ciòd, e dove prevalgono
i bugiardi e i servi, gli smanegiùn e i ciapasoldi.
Insomma volteggiano soltanto ripugnanti lepidotteri.
Il poeta, che è con i deboli e i perdenti, con gli agnelli
sbranati dai lupi, denuncia a fil di penna, con rabbia
e sconforto, questo contesto ingiusto ed inumano.
Affermata la propria dignità, si lascia trasportare
da quella che sa essere la musica della vita, con le
voci della natura e delle cose.
Ecco finalmente ritornare le farfalle di vita vera,
le carezze dellalba, i colori che nascono dalle ombre
dissolventi, i richiami degli animali selvatici che
al crepuscolo scendono al fiume.
Nel volo di queste farfalle si riscopre ciò che era
nascosto nel cuore, il poeta recupera larmonia con
la propria terra, Chi sass i è anca carna mia.
MARIA PISANO, Scutu, I Quaderni del Giornale
di Poesia Siciliana, Palermo 1999, pp. 60.
I lettori di Diverse lingue già conoscono le poesie
in dialetto siciliano di Maria Pisano, pubblicate nei
numeri 12 e 14.
Scutu è una delle più significative raccolte
poetiche di questi ultimi anni.
Maria Pisano, romana di nascita e toscana di elezione,
ha studiato il siciliano sui libri, attratta dalla
poesia colta in dialetto e affascinata, come ci dice,
dal repertorio ampio e variegato di stili e di contenuti,
soprattutto dalle raccolte di canti popolari, fiabe
e indovinelli, rèpiti e scongiuri. E per lei la scoperta
di un cosmo dominato dalla superstizione magico-religiosa,
di una dimensione poetica che rimane costante riferimento
per certi risultati espressivi e contenuti etici delle
sue composizioni.
Sono versi di straordinarie valenze sia poetiche che
linguistiche, come scrive nella pregevole introduzione
a Scutu, Salvatore Di Marco, che per questo
evento letterario eccezionale ricorda il solo riferimento
possibile, quello di Giovanni Calabrò, professore siciliano
di letteratura francese che nel 1930 scriveva villotte
in friulano.
E ancora Di Marco a cogliere appieno sia le peculiarità
del dialetto inventato dalla Pisano, sostanzialmente
inconsueto, impasto di siciliano classico e di arcaismi
lessicali, di espressioni popolari e di segmenti morfologicamente
italiani, sia le principali caratteristiche del suo
spazio poetico: lo scenario quasi onirico nel quale
i confini tra il reale e il surreale, tra il vissuto
e limmaginario, tra le verità e le sue deformazioni,
tra la sconfitta e la rivalsa, svaniscono.
Mentre nella tradizione e nella cultura siciliana un
certo umorismo esorcizza e stempera lincubo della
morte e del nulla, nelle poesie di Maria Pisano, la
Crozza, il Teschio, è la sola verità, la reale consistenza
di un destino che concede solo incubi, pensieri e interrogativi
inquietanti, che tarpa le ali allAnima.
PIETRO CIVITAREALE, Le miele de ju mmierne, Mobydick,
Faenza 1998, pp.81.
E questo il terzo volume di poesie nel linguaggio della
natia Vittorito in provincia dellAquila, un libro
edito nella Collana Lenuvole, con lesauriente prefazione
di Giovanni Tesio e la dotta postfazione di carattere
linguistico di Ottaviano Giannangeli.
Mentre nei precedenti volumi la creatività espressiva
sottintendeva interrogativi esistenziali, qui prevalgono
le affermazioni.
I versi seguono lo scorrere dei mesi, delle stagioni,
da un inverno allaltro, i colori e gli odori cangianti
portati dagli elementi naturali.
Potrebbe essere un Paradéise de meravijje, come recita
un verso, se il soggetto fosse in sintonia con la natura.
Invece la condizione del poeta è così definita che
i versi assumono quasi toni programmatici.
Nei luoghi della memoria e dei sogni non è possibile
ritornare perché I è tarde, sempre chiù tarde, /
i strette i senza féine la veje; le cose sono decomposte
e il cuore è a pezzi, sordo ad ogni seduzione, convinto
soltanto de le niente che fa la véite; lanima tormentata
può essere soltanto consegnata alle ombre sfinite del
giorno, mentre il tempo ruscechenne la terre sotta
i péide.
Eppure dopo aver constatato che tutto il mondo è fatto
di ombre, e aver preso coscienza del triste e inevitabile
destino umano, la conclusione inaspettata e altrettanto
perentoria: Ma pure pe na matenate, / campà è biejje
le stesse. / Ognùne ché ju deléure / seje stritte mpiette,
/ come na scerte de fiore.
NINO DE VITA, Larena ri Spagnola, Grafiche Campo,
Alcamo 2000, pp.39.
NINO DE VITA, Cutusìu, Mesogea, Messina 2001,
pp.251.
Larena di Spagnola, che dà il titolo alla raccolta
poetica di Nino De Vita, è uno dei tre cinema di Cutusìo
che il poeta frequentava da ragazzo.
In questo più antico cinema gli spettatori con i loro
atteggiamenti erano già parte dello spettacolo.
Un secondo cinema coperto era stato poi trasformato
in cantina mentre quello moderno aveva la vendita di
biscotti, caramelle e aranciate.
Nellavvicendarsi dei tre cinema, dove si rispecchiavano
le diverse abitudini del ragazzo che li frequentava,
si percepisce lo scorrere del tempo.
La stessa percezione viene anche dai versi successivi
di A luci, quando larrivo della luce a Cutusìo
portava un cambiamento sostanziale anche della vita
comunitaria, nei circoli, con la televisione.
Come in una vecchia pellicola scorrono frammenti di
vita, accadimenti fuori dalla Storia, cose concrete.
Cutusìo continua ad essere luogo di memoria e di coscienza,di
interrogativi esistenziali. Poi la pellicola si brucia
e porta via con sè lo spazio poetico che aveva creato.
Nella terza parte, dal titolo Cacciatori, il poeta
ricorda la sua firnicia, la smania giovanile di cacciare
che ben presto cessò, intenerito da unallodola alla
quale aveva sparato e che ora lo taliava, nchiccu,
lo guardava fisso prima di morire.
Il volume è arricchito in copertina da unacquaforte
di Vincenzo Piazza.
Cutusìu è la riedizione, con lievi modifiche,
del volume pubblicato fuori commercio nel 1994.
La prefazione si avvale dellarticolo di Vincenzo Consolo
apparso su La Rivista dei Libri del 5 ottobre 1999.
Riporto qui la riflessione conclusiva del mio saggio
Nino De Vita, Cùntura di Cutusìo, pubblicato su Il
Belli, n. 1 dellaprile 2001.
La frase è stata inspiegabilmente tolta e sostituita
dalla redazione della rivista:
La poesia di Nino De Vita ritaglia destini fuori dalla
struttura del testo, genera dimensioni metafisiche
senza risonanze allinterno del linguaggio.
Con queste caratteristiche, poco frequenti nella tradizione
italiana, e più vicine alle esperienze liriche del
Centro Europa, la poesia di De Vita ha una posizione
unica e importante nel panorama della letteratura.
NICOLA GIUSEPPE DE DONNO, Palore, AllInsegna
del Pesce dOro, Milano 1999, pp. 100.
In un volumetto delle edizioni di Scheiwiller, sono
raccolte le poesie che Nicola De Donno ha scritto dal
1988 al 1998 nel dialetto di Maglie.
Nella prima sezione, Palore, gli interrogativi esistenziali
si appuntano sul senso della poesia, allegoria della
vita stessa, tentata ma sfuggente, complessa, non soggetta
a riti e a trucchi, mortale.
A volte si accendono parole, luminarie, ma sono fuochi
dartificio che subito svaniscono.
La vita se ne va sullultima barchetta di carta affidata
ai ruscelletti fatti dalla pioggia, su ppalore de
carta, su bblabblà, / susu bbarche de carta ggià nfunnate.
Resta linterrogativo per cercare il senso della vita
e dello scrivere, Percè? pe cci?.
Le sezioni successive del volume sono composte in prevalenza
di poesie sulla fugacità del tempo, la precarietà della
condizione umana, linconsistenza delle illusioni,
la rapacità del niente, il valore dei ricordi e della
fantasia.
Il tiempu e il gnenzi sono i termini più ricorrenti
in queste poesie di chi, già corroso dal tempo, nnu
fiume dacqua morta, e in attesa di andare verso il
niente, riflette su quelle che sa essere le uniche
verità, senza infingimenti, senza i panni del puparo.
Non ci sono illusioni su ciò che avverrà dopo la morte:
è accantonata ogni fede diricta, non giovano tombe
e fiori, Tra lla morte e lla vita nc è nnu mare /
ca màncane llu mmarchi bbastimenti. Vivi e morti però
sono uguali nel gran mare del niente.
Sono dunque versi di profonda riflessione sul senso
della poesia vita e della morte, sugli inganni delle
apparenze.
Nella postfazione Vanni Scheiwiller, dopo aver ricordato
lincontro e lamicizia con De Donno, fa unosservazione
sulla scelta del dialetto di Maglie come lingua poetica
che scaturisce non solo dalla fonte linguistica primordiale,
ma anche dal progetto di contribuire a rafforzare la
tradizione letteraria scritta del dialetto, come sostegno
alla salvaguardia della cultura specifica del Salento.
GIOVANNI NADIANI, Beyond the Romagna sky, Mobydick,
Faenza 2000, pp. 46.
GIOVANNI NADIANI, Sens, Pazzini Editore, Verucchio
2000, pp. 95.
Queste brevi composizioni di Nadiani, ognuna di due
distici per lo più in opposizione tra di loro, sono
bagliori accesi su frammenti di realtà, di una realtà
che si può percepire solo a intermittenze e attraverso
deformazioni.
Nelle accensioni si mischia il mondo rurale di ieri,
a misura duomo, con quello tecnologico, schizofrenico,
di oggi, e il dialetto, come osserva Fabio Zinelli
nellintroduzione, prende la rivincita, salvato per
superare quel senso di straniamento che coglie il soggetto
prigioniero tra due modi così distanti della realtà.
La scelta del dialetto è anche il segno del carattere
etico della poetica di Nadiani.
La stessa condizione di disagio esistenziale è anche
nelle cinque suites romagnole di Sens.
Qui il verso è disteso, sembra che il poeta voglia raccontare,
perduto tra bulê dmemôria, macchie di memoria, lampi
che spaccano e son dsta nöt chla nvo pasê
.
Cè il desiderio di altre parole, di parole vita,
contro la solitudine e il degrado ambientale, il non
senso e la vacuità, la mancanza di un ubi consistam,
linconsistenza del rituale quotidiano della vita in
provincia.
Prima che il tempo inesorabile porti per sempre il buio,
è la nebbia a prevalere, ad azzerare ogni cosa, a far
riproporre i drammatici interrogativi del chi siamo?,
da dove veniamo? e dove andiamo?.
Le altre parole dunque non danno consolazione bensì
possono soltanto registrare la cifra del gnît spagogn,
del niente indifferente che ci avvolge, la difficoltà
ma anche il desiderio di far emergere i sentimenti
più autentici.
REMIGIO BERTOLINO, Tormenta, con due xilografie
di Nino Baudino, Stamperia A.di P., 1998, pp.50.
REMIGIO BERTOLINO, Ij sègn dlapocalisse ed altri
monologhi, Ij babi cheucc, Stamperia Martini, Mondovì
1998, pp.32.
Il carattere estremamente particolare della poesia di
Remigio Bertolino, per le atmosfere invernali e montane
turbate da presagi di morte, si ritrova in queste due
raccolte, scritte nel dialetto di Mondovì.
Anche lanima sa di freddo (sa d fregg) in un presente
fatto di gelo e di silenzi, dove i pochi bagliori di
realtà non scaldano, non salvano.
La condizione umana è in balia degli elementi naturali,
di una realtà inconoscibile.
Metafore, immagini che rimandano ad altre immagini a
richiamare tracce di memoria, segni della natura, sono
al tempo stesso consolatori e forieri di altro sgomento.
Nella dimensione così irreale di Tormenta si
hanno strane personificazioni: la Sera si siede al
tavolo nero con il poeta e si guardano negli occhi,
la vecchia sveglia fa sentire nel silenzio il suo cuore
di latta.
I monologhi sono voci di vecchi che, crocifissi
dal tempo passato inesorabile, intravedono i segni
della morte. Non resta che accettare con naturalezza
il proprio destino, come la veja sola che continua
a chiacchierare col fuoco e col cielo oltre i vetri
o da pòvri òmi identificarsi con le pòvre còse, come
lultimo traghettatore con la sua barca che, incatenata
alla riva, fa le fusa in grembo alla corrente e marcisce
dolcemente prima di essere abbandonata allacqua,
al suo destino di guscio appassito.
GINO BLOISE, Un cammino della speranza, con introduzione
di Luigi Lombardi Satriani, Edizioni Scettro del Re,
Roma 2000, pp. 126.
Il desiderio di Gino Bloise è di essere un cantastorie
per raccontare le storielle dei paeselli della sua
terra dorigine.
E dunque spontaneo luso del dialetto, quello calabrese
di Cassano Jonio, per arrivare, con il linguaggio proprio
della cultura popolare, al cuore della gente.
Gino Bloise è autore di molte raccolte di versi in lingua
e in dialetto, di testi sulla legislazione scolastica,
scritti quando, come senatore, era vice-presidente
della Commissione Pubblica Istruzione e della Commissione
mista dei Decreti Delegati, e di testi di politica
bancaria, quando era vice-presidente della Cassa di
Risparmio di Calabria-Lucania.
La sua poesia, dimpegno civile e di denuncia, ispirata
da vecchi e autentici ideali socialisti, racconta lotte
contadine, dibatte problemi sociali come quello dellemigrazione.
Sarebbe una poesia soltanto realistica, di cronaca,
se tutto non venisse filtrato dalla memoria che recupera
tradizioni e ricordi.
Nelle poesie in dialetto, il linguaggio paesano reinventato
suscita le immagini del passato: la processione del
Venerdì Santo, la festa del Carnevale sulla piazza
grande, il passaggio dello straccivendolo, le liti
nelle cantine, la storia del tesoro di Bocca bugiarda.
La poesia di Bloise si fa infine riflessione interiore
sul senso dellesistenza, e sul filo del ricordo ritorna
dal passato il segnale della morte nel suono delle
trombe e dei tamburi.
Tutto si universalizza ed è sulla coscienza dellintera
comunità che lorologio del paese rintocca cento volte
a mezzanotte, quando gli antichi parlavini cu i spiriti
/ e cu a morte.
LUIGI BRESSAN, Vose par S.(Voci per S.), con
prefazione di Franco Loi, Circolo Culturale di Meduno,
Meduno 2000, pp. 47.
Fra i primi interessanti volumi, editi dal Circolo Culturale
di Meduno, nella Collana La barca di Babele, appare
una raccolta di poesie in dialetto, Vose par S.
(Voci per S.) di Luigi Bressan.
La prefazione di Franco Loi inizia con una affermazione,
Luigi Bressan è uno dei lirici veneti più raffinati,
e prosegue con alcune riflessioni sulle voci di Bressan,
che creano un teatro monologante in un gioco di specchi,
monologhi che si perdono in un teatro senza sonorità,
privo di pubblico. Voci di degrado e di disfacimento
delluomo nei sotterranei della storia.
In effetti la poesia di Bressan, rispetto alle precedenti
raccolte sempre nel dialetto nativo di Agna, si è fatta
più complessa, criptica.
E più articolata nellimpeto di dire ciò che si è amalgamato
nella memoria, con la voce del dialetto, nellurgenza
di denunciare i mali di una società sclerotica.
Riflessi del mondo reale e di quello interiore sono
i vortici di luce e buio che si perdono chissà dove
tra echi e silenzi, scorie di ricordi e stridori presenti.
La parola tenta, quasi sempre invano, di afferrare le
cose, labili particelle.
TOLMINO BALDASSARI, E zet dla finëstra, Book
Editore, Castel Maggiore 1998, pp. 95.
Ha ragione Alberto Bertoni nellosservare, nelle tre
pagine, Trecartelle appunto, a chiusura della più
recente raccolta E zet dla finëstra, che Baldassari
ha via via accentuato con consapevolezza sempre crescente
quella tendenza memorialistico mortuaria che testimonia
il suo grado profondo di comprensione e di reinvenzione
del Pascoli miriceo.
Bertoni si sofferma su quelle che sono le caratteristiche
principali della poetica di Baldassari, il ripiegamento
interiore e lo stupore, la disponibilità ad ascoltare
i silenzi e a farne condizione di un dialogo spontaneo,
teso e non nostalgico, con chi non cè più, lattitudine
figurale e la lucidità di matrice cinematografica,
la sobrietà e il rigore etico, lambizione metafisica,
le memorie come strumenti di testimonianza e non specchi
passivi.
Accentuando queste caratteristiche, rispetto alle raccolte
precedenti, la poesia di Baldassari approda dunque
ad una fase nuova in cui, come conclude Bertoni, Il
piano percettivo e quello gnoseologico, la passione
evocativa e quella descrittiva entrano a volta a volta
in rapporto e in tensione, senza che nulla sia già
avvenuto altrove.
Frammenti di ricordi, scorie depositate dagli anni dentro
di noi e fatte sostanza, risalgono alla mente e, trasformate
dalle parole poetiche, si vestono di voci e colori,
suoni, fino a suscitare brevi apparenze, forse sogni,
un avdé e un nòn avdé.
Sono immagini di cose e di persone che lo scorrere del
tempo aveva cancellato e che ora riemergono, immagini
fuggevoli che non migliorano la realtà che ci circonda,
non danno consolazioni ma pongono interrogativi senza
risposte, mettono di fronte allineluttabilità del
destino, al senso del mistero.
Nella poesia di Baldassari cè spaesamento ma cè anche
la fiducia nellavvenire con lamore per i nipotini,
per la piccola Cecilia che inizia scoprire la vita
guardando una foglia che si muove.
Tenere sul comò i loro giocattoli e guardarli, rigirarli,
è il segno della speranza nella continuità dellesistenza,
ma anche del rammarico nel dover accettare il proprio
destino.
DANTE MAFFIA, Papaciòmme, Marsilio, Venezia 2000,
pp.91.
Dante Mafia ritorna al dialetto dopo un libro di grande
intensità lirica, Lo specchio della mente (Crocetti,
1999), inaspettato nelliter poetico di Maffia e inconsueto
nel panorama della letteratura contemporanea, perché
riporta la complessa interiorità di chi è rinchiuso
con i propri fantasmi e perduto in labirinti mentali
deviati dal raziocinio comune.
In Papaciòmme (Spaventapasseri), rispetto ai
precedenti volumi, il dialetto si fa magia nellafferrare
più brandelli di memoria, nel disvelare ricordi dalle
ombre del passato.
Oggetti, vecchie canzoni, odori sono scintille che suscitano
immagini, richiamano eventi familiari, rimandano ad
un senso diverso del fluire del tempo.
Nonostante ciò non si ritrova lintero tracciato della
propria storia e tutto rimane labile e precario.
Con le parole in dialetto, il poeta, racchiuso in se
stesso, nel proprio alveo di anima e pensiero, può
vigilare, sistemare le sequenze, riordinare significati,
togliere e aggiungere
nu gràmme / i veretè, i nonzìnze,
un grammo di verità, di nonsenso.
La meta, anche se si sa illusoria, è oltre il senso
storico,oltre la logica delle apparenze, in un approdo
dove luomo, ritrovata lintesa con la natura e con
le alterità, ha le energie culturali ed etiche per
incidere sulla storia: tànne jì ccumènza campè /
pe ffè nàta vòta stòrie tùtta quànte / jì / gùmmene
/ jì / parògue ( allora io ricomincerò a vivere /
per rifare la storia interamente / io / uomo / io /
parola.
VITO MORETTI, Occasioni abruzzesi, Edizioni Tracce,
Pescara 2000, pp. 166.
Come lautore scrive nella premessa, Occasioni abruzzesi
riunisce percorsi di studio che hanno inteso condurre
il sondaggio su personaggi e momenti della realtà culturale
abruzzese e sul loro credito di perspicuità e di valori.
Sono undici saggi che riconfermano la fedeltà e lattenzione
di Moretti alla storia letteraria dAbruzzo, una storia
che viene ripercorsa a partire dalla fondazione della
prima Accademia a Chieti negli ultimi anni del Cinquecento.
Dopo un capitolo dedicato ai fermenti culturali dellAbruzzo
post-unitario polarizzati dalleditore lancianese Carabba
e un altro sui giornali abruzzesi fra satira e dialetto
(elencati in appendice), lanalisi critica di Moretti
si concentra sulle forme espressive dialettali per
dar conto del valore particolare di una tradizione
colta, più intelligibile dopo una considerazione sulle
forme espressive dei pastori che stazionavano sugli
altipiani abruzzesi.
E poi il dannunzianesimo a rappresentare per gli scrittori
abruzzesi la via maestra dellelaborazione dellidentità
regionale, con le eccezioni che Moretti ci illustra
nel capitolo in cui ripercorre le esperienze letterarie
che vanno dagli anni Trenta agli anni Sessanta.
E ancora eccezioni, a cui dedicare interi capitoli di
questo volume, unitario nel tracciare un quadro cronologico
della letteratura abruzzese attraverso le esperienze
culturali essenziali, sono Alfredo Luciani, Ernesto
Giammarco, Francesco Verlengia, Alessandro Dommarco,
Guido Giuliante, e infine alcuni scrittori emigrati
dallAbruzzo.
AA.VV., DIALECT POETRY OF NORTHERN & CENTRAL ITALY.
Text and Criticism, Edited by Luigi Bonaffini and Achille
Serrao, Legas, New York 2001, pp.673.
Il volume, settimo di una Collana che comprende anche
i poemi danteschi tradotti da Joseph Tusiani, completa
limpegno critico, insieme al volume precedente, Dialect
Poetry of Southern Italy, Text and Criticism, edito
nel 1997, di dare ai lettori di lingua inglese una
veduta panoramica sulla poesia dialettale dItalia,
quasi totalmente sconosciuta in America.
E suddiviso per regioni, che critici diversi presentano
con lintroduzione sulle caratteristiche linguistiche
e poetiche del territorio, il profilo critico e la
scheda bio bibliografica dei vari poeti, le rassegne
delle poesie, in tre lingue, italiano, dialetto e inglese.
Uno dei curatori del volume, Luigi Bonaffini, del Department
of Modern Languages and Literatures del College di
Brooklyn, ha avviato da un anno un sito Internet completamente
dedicato alla poesia dialettale italiana, con lo scopo
di creare un punto di incontro per la pubblicazione
e lo scambio su Internet di testi dialettali e di materiali
critici sulla letteratura dialettale: userhome.brooklyn.cuny.edu/bonaffini/DP/index.html
E da segnalare la collana Elleffe di poesia dialettale
per lalta qualità dei testi che pubblica e per la
pregevole veste editoriale.
Ha iniziato le pubblicazioni nel 1998, diretta da Cesare
Ruffato ed edita da Marsilio.
Fra i volumi della collana :
Inventa lengua di Gio Ferri, una raccolta di
poesia con un linguaggio ibrido di variabile dialetto
veronese moderno e riprese di altri linguaggi.
Feriae di Giovanni Nadiani nella lingua di Reda
di Faenza.
Nnanze a la sorte di Vito Moretti in una varietà
dellabruzzese costiero.
La mùsiga di Gabriele Ghiandoni, che ho recensito
su Limmaginazione n.173 del dicembre 2000.
Daddò daddà di Lino Angiuli, nella parlata pugliese
di Valenzano, in provincia di Bari.
La cianiela di Giacomo Vit che riunisce le sue
poesie in friulano scritte negli anni dal 1977 al 1988.
Fra le pubblicazioni più recenti il volume di un giovane
poeta, Rimis te sachete di Flavio Santi, nato
ad Alessandria nel 1973 da padre friulano; le sue poesie
sono in un friulano inventato.