L’asse USA-ITALIA, o meglio New York-Roma, sembra ormai consolidato negli
studi di poesia dialettale d’oltreoceano, in particolare nell’area
newyorkese, in cui s’incontrano i professors of italian Hermann W. Haller
e Luigi Bonaffini. Al di qua dell’Atlantico, invece, nella città
capitolina, il terminale è rappresentato dal poeta campano Achille Serrao,
fondatore tra l’altro - insieme a Vincenzo Luciani - del Centro di documentazione
della Poesia dialettale “Vincenzo Scarpellino”, a cui si deve la promozione
di questo secondo Quaderno: Annalisa Buonocore, Dialettali e neodialettali in
inglese, con Prefazione di Cosma Siani (Roma, Edizioni Cofine, 2003, pp. 63, 10).
Un triangolo che non esaurisce, beninteso, gli studi dialettali negli Stati Uniti,
a cui potremmo aggiungere anzi altre aree o altri protagonisti, quali Gaetano
Cipolla, Giose Rimanelli, Joseph Tusiani, John Du Val ecc. Siamo lontani dai contadini,
dalla lingua dell’emigrazione, dall’idioma italo-americano del poemetto
Italy di Pascoli, il più dialettale dei poeti in lingua; è passato
esattamente un secolo da allora (la poesia fu composta nel 1904) e non solo l’Italia
è diventata nel frattempo Lamerica, terra di immigrazione, non solo molti
emigranti da la Mèrica non sono più tornati, ma oggi i loro figli
e nipoti - americani a tutti gli effetti - chiedono conto delle loro origini e
radici, anche attraverso gli studi critici e gli studi universitari. Del resto
esiste una produzione poetica dialettale in loco che l’autrice distingue
in poesia popolare italoamericana, incentrata sul tema dell’emigrazione,
e in poesia neodialettale, «il cui statuto è quello di una poesia
scritta in dialetto ma sganciata dall’orizzonte culturale circoscritto della
poesia vernacolare» (p. 8).
Il saggio (rielaborazione della tesi di laurea) - dichiara l’autrice nell’Introduzione
- «nel dare risalto alla produzione poetica e critica d’oltreoceano
e all’attività di collaborazione tra studiosi e poeti operanti in
Italia e in America, si pone come emblema del mutamento avvenuto nella realtà
linguistica degli ultimi tempi» (p. 9). Oggetto specifico è infatti
il problema della traduzione e della resa in inglese della poesia dialettale italiana.
Il Capitolo I (Traduzione inglese di poesia in dialetto) confronta due antologie,
e alcuni testi di poeti napoletani contenuti in entrambe: The Hidden Italy (1986)
di Haller (al quale va riconosciuta la paternità di aver per primo pubblicato
una raccolta di poesie dialettali tradotte in inglese) e Dialect Poetry of Southerrn
Italy (1997) di Bonaffini. Haller ha optato per una versione di servizio, interlineare
e prosastica, visto l’intento divulgativo; il secondo ha visto nella traduzione
lo scopo stesso del lavoro di antologizzazione, «cercando di restituire
quanto più possibile il testo originale nel codice di arrivo» (p.
14), riproducendone lo schema rimico e la forma metrica.
Il Capitolo II ruota intorno alle Prospettive teoriche nella traduzione dal dialetto
e alle difficoltà implicite in una tale operazione, a partire dalla densità
semantica delle espressioni dialettali (forme idiomatiche, ellittiche, allusioni,
metafore ecc.), spesso impiegate in senso connotativo e legate a situazioni concrete,
cresciute sulle esperienze quotidiane, che non possono essere comprese appieno
se non si conoscono la “dimensione antropologica” entro cui vengono
utilizzate e il contesto d’uso di una parola o di una espressione. Ma anche
così fosse, resta il problema di renderle in inglese, a causa delle diversità
tra lingua d’origine e lingua d’arrivo, soprattutto quando vi è
un uso connotativo della lingua, tanto che elementi vernacolari e punte idiomatiche
determinano una maggiore perdita in traduzione. Non solo i dialetti posseggono
peculiarità che li differenziano dallo standard, unicità e originalità
sono conferite da caratteristiche che appartengono a ciascun dialetto e che lo
diversificano da tutti gli altri e che non possono essere rese in traduzione,
a partire dal suo valore fonosimbolico - per antonomasia intraducibile - e dalle
sue peculiarità sul piano fonologico. La scrittura dialettale poetica ha
privilegiato le caratteristiche dell’oralità, per cui il suo principale
punto di riferimento resta la lingua d’uso, con tutta la sua concretezza:
parole-contenuto, uso frequente di immagini e paragoni, reduplicazione, suoni
onomatopeici, forme allocutive, locuzioni avverbiali, modi di dire, etimologia
popolare, tabuizzazione, dialogicità ecc. Tutto ciò fa sì
che l’orizzonte antropologico e la cultura di un luogo si imprimano nella
lingua caratterizzandola dal punto di vista stilistico, per cui è lecito
parlare di uno “stile” del dialetto, da qui le difficoltà di
traduzione dei suoi testi letterari, dovute alla variazione stilistica delle lingue.
Nel Capitolo III molte delle peculiarità stilistiche dei dialetti trovano
un compendio nella poesia del neodialettale Achille Serrao, così come vengono
messi alla prova alcuni nodi della traduzione. Anch’egli - come gli altri
neodialettali - opta per un dialetto isolato privo di tradizione letteraria, quello
di Caivano nell’area casertana, consapevole che la sua è una lingua
della concretezza e dell’immediatezza, che ciò che contribuisce a
renderla unica e originale è la fonetica, per cui nelle sue poesie rilevante
è il ruolo del fonosimbolismo, proprio per recuperare un mondo che il poeta
ha interiorizzato e che in esse fa rivivere, e un orizzonte antropologico ormai
scomparso che può essere testimoniato solo dalla lingua che lo esprime:
i tratti fonetici specifici di una lingua evocano il mondo in cui il dialetto
è immerso. Bonaffini ha tradotto in inglese tutto il Serrao dialettale,
cogliendo la centralità del sistema di suoni del caivanese per la comprensione
della sua opera, ma proprio per questo non si può riprodurre in un’altra
lingua l’impressione suscitata dai suoi tratti fonetici specifici. Uno degli
elementi fondamentali della poesia dei neodialettali andrà inevitabilmente
perso nel processo di traduzione: non si può trasferire il sistema fonetico
- del caivanese o di un altro dialetto - nella lingua inglese. Per i neodialettali,
proprio perché il dialetto è oggetto di poesia, veicolo esso stesso
di contenuti, il problema della traduzione è particolarmente sentito. Lo
stesso Serrao – come dichiara nell’Appendice che conclude il libretto,
sotto forma di Intervista per via epistolare – sceglie una traduzione interlineare
delle sue poesie mostrando un certo pessimismo sui suoi esiti, in quanto le versioni
in lingua sono solo delle «caute approssimazioni agli originali» di
fronte allo spessore semantico e all’intraducibilità di molti termini,
di alcuni lemmi o passaggi poetici, per i quali il codice dialettale in traduzione
può solo ammettere la perifrasi.
Il saggio della Buonocore si inserisce a buon diritto nel più generale
àmbito della teoria e della pratica della traduzione poetica da un codice
all’altro, anche se il terreno scandagliato è circoscritto alla traduzione
dal dialetto all’inglese e, anzi, ancora più restrittivamente dal
napoletano all’inglese (la quarta di copertina dice tuttavia di un’ampia
gamma di testi poetici vagliati). Avremmo forse preferito un campione e un raggio
d’azione più ampi, che toccassero altri esempi, altri autori, altri
testi, altri dialetti, ma ha comunque il merito di aver posto il problema - di
non facile e scontata soluzione - della traduzione in inglese della poesia dialettale
italiana.
Giuseppe Zoppelli